sabato 4 aprile 2009

Pentarchia e Filetnismo

La fine dell’Impero romano, poi l’ateo Illuminismo francese, e infine la identificazione napoleonica tra “Stato” e “Nazione”, ha prodotto nella Chiesa l’aberrante prassi che ha portato alla nascita di tante Chiese nazionali (sic), in definitiva statolatriche. Non di rado, infatti, dette strutture non sono nate per una reale esigenza del popolo, ma sono state costituite nel XIX secolo spesso da governanti massoni e pur sempre da autorità esterne alla Chiesa. Per esempio, la nascita del Patriarcato di Bulgaria è segnata (1870) da un firmano del sultano Abdul Aziz; nel 1833 a “Capo” della Chiesa Greca fu posto il re bavarese Otto di Wittelsbach, per giunta neo-convertito (?) e minorenne, ecc.

Nonostante il Filetnismo sia stato riconosciuto come eresia, non sono poche le strutture che si oppongono alla prassi tradizionale della Chiesa, espressa dal concetto di Pentarchia. Ai nostri giorni persistono così situazioni del tutto anticanoniche (per esempio, la presenza di più vescovi ortodossi nella stessa città), paradossali (vedi il caso della scomparsa Cecoslovacchia, 150mila fedeli) e anacronistiche (l’isola di Creta è autonoma) e che in definitiva indeboliscono la missione della Chiesa nel mondo moderno. E si veda anche il caso della scismatica Chiesa di Skopje (sedicente di Macedonia).

E’ fuor di dubbio che lingue, usanze e tradizioni locali debbano essere rispettate, è fuor di dubbio che la Chiesa debba “incarnarsi” nel territorio, è fuor di dubbio che - per qualche tempo e particolari motivi – alcune Chiese possano aver bisogno di uno statuto di autonomia o autocefalia, come l’ebbe, per esempio, Siracusa o Ravenna. Ma hanno senso – oggi – “patriarcati”, autonomie e autocefalie giustificate solo dall’esistenza d’un particolare Stato (laico)?

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