sabato 4 aprile 2009

Maggio

ha 31 giorni; il giorno ha 14 ore e la notte 10 ore

 

1              Il santo profeta Geremia.

                Il nostro padre tra i santi Ippolito, evangelizzatore dell’Irpinia.

                Il nostro venerando padre Giorgio.

Di lui si sa soltanto che le reliquie erano conservate in un tempietto in Terra dei Tukki, ovvero nella vallata di Bagaladi, distrutto durante la Guerra del Vespro.

2             Sant’Atanasio il Grande: licenza di vino e olio.

3             I santi martiri Timoteo e Maura.

                Il nostro padre tra i santi Pietro il Siculo, vescovo di Argo nel nono secolo.

4             La santa veneranda martire Pelaghia.

                Il nostro venerando padre Niceforo l’Esicasta.

Egli nacque in Calabria e i suoi genitori erano ricchi di beni materiali, ma spiritualmente meschini, tanto che aderirono alle eresie dei Latini e abbandonarono il figlio, ancora in tenera età, in qualche monastero. Studiò Logica, Filosofia aristotelica, Sacra Scrittura, Patristica, e apprese così che i Latini sono falsari e trasgressori della tradizione degli Apostoli e dei Padri, poiché confondono le proprietà delle tre ipostasi, insegnando, in modo empio e blasfemo, due processioni del santo Spirito. Iniziò così a discutere con i Latini, dimostrando per mezzo della Scrittura e della dottrina dei Padri che si essi si erano allontanati ed estraniati dalla fede ortodossa, provando con stringenti sillogismi che essi penzolavano ora verso l’eresia di Sabellio, ora verso quella di Macedonio, e su questi argomenti scrisse diversi trattati, nella speranza di trarre fuori dalla loro fede strampalata quei nemici, sacrileghi, eretici e bestemmiatori. Egli spiegava che la Processione dello Spirito è la modalità stessa dell’essere, e che quindi il santo Spirito è senza principio, perché ha l’essere dal Padre, allo stesso modo della generazione del Figlio; è perciò del tutto empio e blasfemo sostenere che il santo Spirito procede dal Padre e dal Figlio. I Latini risposero con insulti e calunnie, e infine lo denunciarono al Tribunale pontificio. Niceforo fu arrestato, torturato e condannato a essere bruciato in pubblico, ma la notte prima della condanna riuscì a fuggire e si nascose all’Athos, presso Glossìa. Qui fu raggiunto dagli Unionisti, nuovamente arrestato e condotto a Cipro per essere processato da un delegato pontificio, ma Niceforo riuscì ancora una volta a scampare al rogo. Fatto rientro all’Athos, si  legò d’amicizia spirituale con Teolepto, futuro metropolita di Filadelfia, e Atanasio, futuro Patriarca ecumenico, ed ebbe come discepolo san Gregorio Palamas. All’Athos, Niceforo ebbe come discepolo anche un certo Ponimazio, al quale dettò il trattato che porta il titolo Discorso utilissimo sulla sobrietà e la custodia del cuore, e quello titolato Le tre forme della preghiera, per qualche tempo attribuito a san Simeone il nuovo Teologo.

5             La santa martire Irene.

                Il nostro venerando padre Leonzio di Africo in Calabria, che si addormentò in pace nel dodicesimo o tredicesimo secolo.

                Il nostro venerando padre Eustazio il Taumaturgo, vescovo di Madito.

6             Le lotte del giusto Giobbe.

7             L’apparizione in cielo della Croce, nella città santa, verso l’ora terza, al tempo di Costanzo figlio di Costantino il Grande.

                I santi martiri di Locri.

8             I santo apostolo Giovanni il Teologo: licenza di vino e olio.

                La tremenda apparizione del condottiero Michele sul monte Dhrio, al tempo del santo vescovo di Siponto Lorenzo.

                San Bonifacio, papa dell’antica Roma, che dedicò alla memoria di tutti i santi martiri il Pantheon di Agrippa avuto in dono dall’imperatore Focà.

                San Benedetto II, papa dell’antica Roma, che si addormentò in pace nel 685.

9             Il profeta Isaia, e il santo martire Cristoforo.

10           Il santo apostolo Simone lo Zelota.

                I santi grandi martiri Filadelfo, Alfio e Quirino.

Questi tre gloriosi martiri, due volte fratelli di sangue, erano oriundi della prefettura della Hispania Tarraconense, abitata dal fiero popolo dei Vasconi. Forse erano giovani ufficiali, o figli di qualche alto funzionario statale: scoperti infatti come cristiani, non furono finiti sul posto ma tradotti a Roma, e poi esiliati nell’antica città dei Leontini, vale a dire Lentini di Siracusa. Essi però testimoniarono il Vangelo con la parola e innumerevoli prodigi, e perciò furono messi a morte, pare al tempo di Licinio Valeriano.

                Il nostro padre tra i santi Agatone, vescovo di Lipari.

Egli da alcuni è posto al tempo dei tre santi fratelli, ma è più probabile che sia vissuto nel VI secolo, e che sia lo stesso Agatone di Lipari che accolse la reliquia del santo apostolo Bartolomeo.

11            Il natale della Città, e memoria del santo martire Mokios.

12           Il nostro padre tra i santi Epifanio, vescovo di Cipro, e il nostro venerando padre Germano, patriarca di Costantinopoli.

                Il beato Filippo, presbitero apostolico, il Cacciaspiriti.

Al tempo dell’imperatore Arcadio, nella provincia di Tracia c’era un uomo di nome Teodosio, siro di stirpe e di lingua, che aveva preso in moglie la nobildonna Augia. Avevano tre figli, i quali erano commercianti di bestiame. Il giorno dell’esaltazione della Croce questi erano soliti andare a Costantinopoli, dove stavano i genitori, per celebrare insieme la festa. Ma un triste giorno, mentre traversavano il fiume Sàngari in piena, la corrente li portò via. La loro madre non trovò pace, né di giorno né di notte, finché le apparve il Creatore del mondo, nelle sembianze d’un vecchio che le diceva: “Togliti il lutto, alzati e impasta tre pani con fior di farina e offri a Dio i tuoi doni in letizia”. Augia si alzò e fece proprio così; e quando Teodosio si uni a lei, concepì e partorì un maschio e lo chiamò Filippo. Quando il bambino giunse all’età di sette anni, la madre gli fece tagliare i capelli e lo consegnò alla Chiesa, e quando Filippo giunse ai ventuno anni, ve lo lasciò come diacono. Egli progrediva nella pace interiore e nella conoscenza, istruendosi nella scienza ecclesiastica in lingua siriaca. Volendo conoscere la tradizione apostolica dei Romani, insieme al monaco Eusebio, decise di recarsi nell’antica Roma. Un giorno il Papa invitò Filippo a celebrare, e poiché questi si scusò dicendo di non saper dire nemmeno una parola in lingua latina, il Papa disse: “Nel nome di Cristo nostro Dio, apri la bocca ed esprimiti con parole latine”. Filippo aprì la bocca e subito si trovò a dire in lingua latina: Nella pace del Signore, preghiamo, e ciò che segue. Trascorsi là tre mesi e dodici giorni, Filippo era scoraggiato, perché in chiesa poteva esprimersi in latino, ma per ogni altro affare non poteva dir parola. Il Papa allora gli disse: “Diacono Filippo, parla anche tu come noi”. Subito usci un fuoco dalla lingua del Patriarca e toccò le sue labbra; e in modo manifesto a tutti egli leggeva usando parole latine. Lo prese allora e lo ordinò presbitero; e dandogli in mano un volume scritto disse: “Ricevi questo decreto apostolico. Quando nel tuo viaggio di ritorno passerai in Sicilia, troverai in quei luoghi un posto, di nome Arghirion, dove avvenne una migrazione di spiriti provenienti da Gerusalemme che ora abitano in una cavità della roccia, di fronte al monte chiamato Etna, che emette un fiume di fuoco. Terrai dunque in mano il decreto, e non potrai tornare dai tuoi genitori finché tu non abbia distrutti tutti gli spiriti”. Filippo ricevette il decreto affidatogli e subito si imbarcò con il monaco Eusebio; raggiunse per mare Reggio, si recò poi a Messina e, proseguendo a piedi, giunse al luogo assegnatogli. Si sedette in una grotta ove c’erano tre colonne e tre gradini, tagliati da pietre perfette; là Filippo stava seduto e compì guarigioni per due giorni. Poi salì di fronte all’Etna: fece una benedizione con il volume che teneva in mano e apparve la turba dei demoni che, come pietre, rotolavano giù. Fuggendo, gridavano: “Guai a noi! Il presbitero Filippo ci caccia anche da qua!” Un giorno Filippo stava facendo una fervente preghiera per una fanciulla tormentata da uno spirito. Il beato Filippo le toccò la mano e disse: “Esci e vattene nel luogo che ti è stato preparato!” Lo spirito gridò: “Filippo, esco dalla fanciulla, ma non uscirò mai da questo luogo con i miei compagni, bensì vi abiterò con te, fino all’ultimo giorno!” Subito la fanciulla divenne sana. C’era molta folla di oppressi da spiriti immondi, in numero di circa quattrocento, i quali divennero sani. Come era costume fra quella gente prima dell’arrivo del santo, per timore degli spiriti gli uomini portavano loro doni; infatti i demoni, trasformatisi a somiglianza umana, come se un padre defunto chiedesse a un figlio di offrirgli delle sostanze di sua proprietà, dicevano: “Figlioli, date anche a noi dei beni a vostra disposizione!” Questo uomo ammirevole innalzava in diversi luoghi edifici sacri. Un giorno uscì per scendere dalle parti settentrionali di quel luogo a pregare, e gli venne incontro un uomo con sua moglie, i quali piangevano di un pianto violento, e dissero: “Pietà di noi! Nostro figlio ha bevuto alla fonte Mamoniea ed è morto all’istante”. Egli andò di corsa alla sorgente, fece sul morto il segno di croce con il volume apostolico e lo chiamò: “Giovanni, Giovanni, Giovanni, nel nome di Dio, sorgi!” E subito il giovane sorse come da un sonno; egli lo consegnò alla madre dicendo: “Da’ gloria al Signore Dio. E tu, spirito immondo, se vuoi rimaner qui, non recar più alcun danno; se invece persisti, ti incolga il castigo di venir legato con cinghie di ferro dallo Spirito Santo e da Gabriele, comandante in capo delle Potenze divine; e così starai legato sino alla fine del mondo”.

Filippo se ne stava seduto tenendo in mano il vangelo, quand’ecco venne un certo Atanasio, morso da una vipera: il suo corpo era ormai tutto piagato. Il servo di Dio sputò a terra, mischiò la polvere con la saliva, gli spalmò la ferita e subito divenne sano.

Una donna aveva in ventre un feto morto da quattro giorni e, non potendo partorire, era ormai vicina alla morte. Passò Filippo, prese dell’acqua con le due mani, la versò in una tazza e ordinò che la bevesse. E subito uscì i il feto imputridito.

Un giorno, verso mezzodì venne un pecoraio; Filippo prese della polvere dalla terra, fece su di essa il segno della croce con il volume e gli disse: “Spargi questa sostanza nell’ovile e quando verranno le belve dici: Il presbitero Filippo, nel nome del Signore, vi comanda di stare lontane”. Il pastore fece come gli era stato comandato e le bestie pericolose furono scacciate piene di paura.

Una donna che aveva un flusso ininterrotto di sangue, venne da lui che stava celebrando, e pregò il suddiacono perché le desse l’acqua in cui il santo aveva lavato le sue mani, e gli porse un asciugatoio di lino, perché egli asciugasse le sue mani. Il suddiacono prese l’acqua e la diede alla donna. Questa, dopo aver bevuto, fu sanata. Poi portò a casa sua l’asciugatoio e, trovando una tale gravemente malata, le mise addosso l’asciugatoio, dicendo: Nel nome di Dio e del santo sacerdote Filippo, sorgi dal tuo letto e va’ al suo sacro tempio”. E quella fu subito sanata.

Un uomo aveva una figlia oppressa da elefantiasi. Venne ai piedi di Filippo, piangendo: “Santo padre, sia guarita la tua serva!” Egli ordinò al diacono di portargli il velo che si pone sui Presantificati, e di avvolgervi completamente la fanciulla per circa un’ora. Pregò per lei e la fanciulla diventò rilucente di uno splendore più vivo dell’oro, e andò a casa sua glorificando Dio.

Un giorno Filippo celebrava la festa dell’apostolo Pietro, quando venne un uomo di nome Leonzio, che aveva una ferita in putrefazione. Filippo si lavò le mani e disse al diacono: “Va’ alla porta centrale della chiesa, impasta con questa acqua la polvere che sta là, fa’ un unguento con tale fango e ponilo sulla ferita”. E quello guarì.

Un tale portò un giumento che non poteva essere addomesticato. Il santo sorrise e fece un segno di croce sull’animale, dicendo: “Obbedisci al tuo padrone; non colpirlo più con morsi e calci”. E il giumento divenne più mansueto di una pecora.

Vicino al tempio del santo c’era un’arca, e col permesso di Dio vi abitava uno spirito il quale, verso mezzogiorno, privava della vista gli uomini che vi passavano. Un tale, colpito da una grave malattia, venne a quest’arca per riposarsi e subito fu privato della vista. Lo portarono per mano alla porta del tempio, ed egli gridò: “Santo di Dio, ho fatto molti stadi per venire da te ed essere guarito, ma fui privato della vista nell’arca che sta vicino al tuo venerabile tempio, mentre vi stavo seduto verso mezzogiorno”. Il santo, pieno di sdegno, disse: “Dico a te, spirito immondo che privi della vista gli uomini: sarai cieco d’ora innanzi e sino alla fine del mondo, abiterai dentro all’arca ridotto in miopia e fuori di essa non potrai aggredire alcun uomo o bestia”. E quell’uomo fu liberato dalla cecità, ricevendo allo stesso tempo anche la guarigione dalla malattia.

Un uomo fu morso da un cane arrabbiato. Il beato Filippo ordinò che portassero erba, la bruciassero e, disciolta in acqua, la introducessero nelle sue ferite. E quell’uomo guarì.

L’arconte di Agrigento accusò dodici uomini di cospirazione. Essi però pagarono i soldati che li conducevano a Catania, perché li facessero passare dal sacerdote Filippo. Giunti al suo tempio, levarono lamenti: “Pietà! Ingiusta è l’accusa scritta contro di noi!” E gli mostrarono l’atto d’accusa, sigillato con il piombo. Il santo di Dio disse: “Per la potenza di Dio, questa pergamena sia scritta così nel suo interno: Questi uomini li si vuole condannare ingiustamente, perché il loro arconte è contro di loro”. Giunsero quegli uomini dal governatore e questi, letta la pergamena, disse: “Siano sciolti i prigionieri e tornino di corsa a casa loro”. I prigionieri se ne andarono dando gloria al Signore Dio che li aveva liberati. Colui che li aveva mandati ingiustamente, quando li vide tornare, fu preso dall’ira; e subito si impadronì di lui un demonio assai molesto. Gli dissero allora quegli uomini: “Va’ ai piedi del sacerdote Filippo, e anche tu sarai liberato dallo spirito”. Egli si recò di corsa al tempio gridando: “Pietà di me, servo di Dio Filippo!” Il santo disse allo spirito: “Esci e allontanati da costui, per la potenza di Cristo”. E quegli fu subito risanato, e ricevette dal santo il comando di non accusare più falsamente nessuno per motivi d’interesse.

L’igumena del Monastero dei Santi Sergio e Bacco era oppressa da uno spirito. Andò dal santo e, mentre quegli stava pregando, diede un morso al lembo del suo mantello: in quel momento divenne sana.

Tre uomini, provenienti dalla Lidia, vennero in Sicilia per comprare grano, ma Satana suggerì a uno di loro di rubare il denaro che avevano in comune. Sconcertati per aver perso il denaro e sentendo parlare di Filippo, si recarono in fretta da lui e gli dissero: “Avevamo in comune una somma di denaro per degli affari, ma ci fu rubato”. Il santo disse: “Prendete una manata di fango”. Essi presero una manciata di fango, ed egli disse di nuovo: “Aprite le mani”. Quando due di essi stesero le mani, apparvero come lavate con acqua limpida; a colui invece che aveva commesso il furto, il fango si era seccato e gli tratteneva le dita, sì da non lasciargliele stendere. Gridando disse: “Servo del Signore, sia sanata la mia mano!” E subito la mano fu sanata ed egli restituì il denaro.

Un giorno Filippo andò a pregare con il monaco Eusebio nel tempio dell’apostolo Pietro. Verso mezzanotte si udì uno spirito che diceva: “Saltate giù! saltate giù! Scappate! il nostro persecutore è salito sul monte e un fuoco ci distrugge”. Allora Filippo disse: “Sono migrati qui spiriti immondi da una regione lontana. Stiamo immobili in preghiera, finché Dio li scacci di qua”. E mentre stavano pregando usci dal tempio un fuoco, come un fiume in piena, che li scacciò via. Quando infatti a Catopidunte, di notte o a mezzogiorno, si sentiva il grido per la caduta di un demonio, una pietra scendeva giù rotolando e uccideva o un uomo o un animale. Ma d’allora tutti poterono passare da lì restando illesi.

Un uomo di Palermo era senza figli. Raggiunse Agira e si gettò ai piedi di Filippo dicendo: “Padre, tu sai perché sono venuto”. Il santo disse: “Certo, lo so; torna a casa tua”. Quell’uomo, tornato a casa, si uni alla moglie ed ella concepì, e generò un maschio che chiamò Filippo. Quando il bambino ebbe circa otto anni, lo condusse dal sacerdote Filippo; egli con gioia lo prese per mano e lo portò nel tempio, lo benedisse e gli disse: “Torna nella tua terra e costruisci un tempio del Signore”. Il bambino Filippo prese dal presbitero Filippo, come ricordo, una delle sue venerabili tuniche, un asciugatoio e la fascia con cui si cingeva i suoi santi fianchi; partito dunque di là, trovò per strada un uomo che era stato paralizzato dal veleno d’un serpente. Volendo il bambino completare i miracoli del santo, svolse la cintura che aveva preso dal santo, e ne cinse quell’uomo. E in quel momento quegli sorse sano come prima. I palermitani, come seppero che le tuniche del santo erano state portate nella città di Palermo e che si ottenevano guarigioni per mezzo di esse, furono pieni di gioia inesprimibile. Subito un monaco, oppresso da uno spirito, mentre Filippo giungeva per attraversare la prima porta della città, gridò: “Il presbitero Filippo tu porti con te, o diacono Filippo! Io mi affretto ad andare da lui per essere liberato da uno spirito che si è impadronito di me”. Ma quando quegli arrivò, Filippo era già morto.

Dopo aver infatti compiuto i divini misteri, il santo si coricò nella sua arca e disse: “Questo è il mio riposo per i secoli dei secoli”. Visse 63 anni.

Subito il monaco Eusebio fuggì per timore del toparca Orbiano, riparò ad Alessandria, e affidò al patriarca Apollinare una relazione sulla vita del beato Filippo.

Perché il servo di Dio risplendesse anche dopo morte, venne alla veneranda arca il monaco Evlavio di Palermo, tormentato da uno spirito. Il santo stese la mano con il volume, e fece un segno di croce: e subito quello divenne sano. Al quattordicesimo giorno dalla morte venne un certo Eutropio, semiparalizzato. Si strofinò contro la bara e subito divenne sano: tutti quanti vengono alla sua santa bara sono liberati da tentazioni, pericoli, spiriti, calunnie, guerre intestine, malattie, sterilità dei campi, ira di Dio e del Governo.

Quaranta giorni prima della sua dormizione, Filippo era apparso anche al nobile Belisario che venne ad Agira, per mostrargli la pianta a forma di croce di una costruzione ecclesiastica. Lo stesso Belisario  costruì due arche, una per il monaco Eusebio, e una per il beato Filippo; poi costruì anche il venerando tempio.

                Il venerando Leone il Calzolaio.

Egli era un asceta calabrese, abile nel fabbricare zoccoli, morto mentre era in viaggio per Gerusalemme: i marinai fecero scalo a Methoni, e lo seppellirono in località Ròson Choma. I miracoli fioriti sulla tomba indussero il vescovo Nicola, pare nel XII secolo, a traslare le reliquie in un tempio, costruito in onore del santo, poco fuori della città.

13           Il santo martire Glicerio, e il santo sacromartire Metodio vescovo di Patara.

14           Il santo martire Isidoro.

15           Il nostro venerando padre Pacomio: licenza di vino e olio.

                Il nostro padre tra i santi Nicola il Siculo, patriarca di Costantinopoli negli anni 901-907 e 912-925.

16           Il venerando Giorgio vescovo di Mitilini, e il nostro venerando padre Teodoro il Santificato.

17           Il santo apostolo Andronico.

                traslazione a Pithekusa, cioè Ischia, al tempo di Genserico re dei Vandali, della reliquia di santa Restituta, che subì il martirio in Africa il 12 febbraio del 304.

18           I santi martiri Pietro, Dionisio, Andrea, Paolo, Venedimos, Paolino, Eraclio e Cristina.

                Il nostro venerando padre Arsenio l’Innografo.

Di lui si sa soltanto che fu monaco nel Monastero di San Filippo presso Fragalà di Messina.

19           Il santo sacromartire Patrizio e, con lui, Acacio, Menandro e Polieno.

                Sant’Urbano, papa di Roma all’inizio del III secolo.

20          Il santo martire Talleleo.

21           I santi imperatori, pari agli apostoli, Costantino ed Elena: licenza di pesce.

22          Il santo martire Basilisco.

23          San Michele vescovo di Sinnada.

                Il nostro padre tra i santi Efebo il Taumaturgo, vescovo di Napoli nel secondo secolo.

24          Il nostro venerando padre Simeone del Monte Mirabile.

25          Il terzo ritrovamento del prezioso capo del Precursore: licenza di vino e olio.

26          Il santo apostolo Carpo.

27           Il santo martire Elladio.

28          Il santo sacromartire Eutico, vescovo di Melitini.

29          La santa martire Teodosia.

                I santi martiri Sisinnio, Martirio e Alessandro.

Oriundi dalla Cappadocia, predicatori del vangelo nel Trentino, nell’anno 397 furono uccisi dai pagani.

30          Il nostro santo padre Isaakio, igumeno del Monastero dei Dalmati.

                In Sardegna, il santo martire Gavino.

31           Il santo martire Ermio.

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