sabato 4 aprile 2009

Agosto

ha 31 giorni; il giorno ha 13 ore e la notte 11 ore

 

1              L’uscita della preziosa Croce: licenza di vino e olio.

                La lotta dei santi sette fratelli Maccabei.

                Il nostro padre tra i santi Eusebio, vescovo di Vercelli.

Per la fede ortodossa nel 355 fu esiliato in Palestina, poi in Cappadocia e infine in Egitto. Liberato nel 361, con sant’Atanasio il Grande celebrò in Alessandria il Concilio detto dei Confessori; traversata la Macedonia nel 366 fece rientro nella sua sede, dove ancora lottò gli ariani, fin quando si addormentò in pace, nel 371.

2             La traslazione delle reliquie del santo primo martire Stefano.

                Santo Stefano, papa di Roma, nell’anno 257.

3             I venerandi padri Dalmato, Fausto e Isakios.

                Il nostro padre tra i santi Asprenas, primo vescovo di Napoli, nel primo secolo.

                Il venerando martire Giovanni, per mano dei Vandali, nel Monastero di Patalaria, ovvero Pantelleria.

                Il venerando Antonio il Romano, che si addormentò in pace a Novgorod attorno al 1147.

4             I santi sette giovani, Massimiliano, Giamblico, Exacustodiano, Martiniano, Dionisio, Giovanni e Costantino, che al tempo di Decio si nascosero in una grotta con il loro cagnetto, e si risvegliarono al tempo di Teodosio II, vale a dire dopo centonovantaquattro anni.

5             Il santo martire Evsighnio.

                Il santo martire Sisto, filosofo ateniese, che fu papa di Roma, nell’anno 251.

                Il nostro venerando padre Clemente.

Visse nel Monastero del Salvatore di Plakas presso Taormina, ed era già monaco al tempo della dominazione dei Saraceni; ebbe poi molto a soffrire a causa dei Latini, che tentarono anche di ucciderlo. Le sue reliquie furono disperse nel XVII secolo.

6             La divina metamorfosi del Salvatore: licenza di pesce.

7             Il santo martire Domezio il Persiano.

8             Sant’Emiliano, vescovo di Cizico.

9             Il santo apostolo Mattia.

10           Il santo martire Lorenzo diacono.

11            Il santo martire Euplo.

Nel febbraio del 303, essendo consoli Diocleziano per la nona volta e Massimiano per l’ottava, uscì un decreto che ordinava ai nostri di consegnare i libri sacri; Euplo fu perciò trascinato dinanzi al prefetto Calvisiano. Un funzionario, di nome Massimo, accusò: “Non è lecito che egli tenga tali libri contro l’ordine imperiale”. Calvisiano chiese a Euplo: “Da dove vengono questi libri?” e, per sapere se si era presentato spontaneamente, aggiunse: “Li hai portati tu qui?” Euplo rispose: “Mi hanno sorpreso con essi”. Per metterlo alla prova, e scoprire se davvero sapeva leggere, Calvisiano ordinò: “Leggili”. Euplo lesse: “Beati quelli che soffrono persecuzione, poiché di essi è il regno dei cieli”. Calvisiano disse: “La sua confessione è manifesta; sia consegnato ai torturatori”. Il giorno avanti le idi di agosto, si tiene il processo, e il consolare Calvisiano domanda a Euplo: “Che dici ora della tua prima confessione?” Euplo risponde: “Confermo la prima deposizione; sono cristiano e leggo le Scritture”. Calvisiano domanda: “Perché le hai tenute presso di te e non hai consegnato subito i libri vietati?” Euplo risponde: “Perché sono cristiano e non era lecito consegnarli. E’ meglio morire che consegnarli: in essi è la vita eterna; chi li consegna perde la vita eterna”. Calvisiano dice: “Desisti da questa pazzia; adora gli dei e sarai liberato”. Euplo risponde: “Adoro Cristo; fa’ ciò che vuoi”. Calvisiano dice: “Disgraziato, adora Ares, ApoIlo e Asclepio”. Euplo risponde: “Adoro il Padre, il Figlio e il santo Spirito, la santa Trinità oltre la quale non c’è altro Dio”. Calvisiano dice: “Sacrifica agli dei, se vuoi essere liberato”. Euplo risponde: “Proprio in questo momento sacrifico me stesso a Cristo Dio”. Calvisiano detta quindi la sentenza: “Euplo, cristiano, che ha disprezzato gli editti imperiali, ha bestemmiato gli dèi e non ha voluto pentirsi, sia ucciso con la spada”. Allora gli appesero al collo il vangelo col quale era stato preso, e fu così decapitato.

12           I santi anarghiri Fozio e Aniceto.

13           Il nostro venerando padre Massimo il Confessore.

                I santi martiri Ponziano e Ippolito, papi di Roma.

14           Il santo martire Ursicino.

                I martiri di Otranto.

Entrati in Turchi in Idrunto l’11 agosto 1480, gli ottocento sopravvissuti alla strage che ne seguì si rifiutarono di aderire all’Islam e perciò, due giorni dopo, furono tutti decapitati. I corpi acefali dei martiri restarono incorrotti, finché non furono inumati il 15 giugno 1481.

15           La dormizione della Madre di Dio: licenza di pesce.

16           Il trasporto da Edessa del mandilio del Salvatore.

                Sant’Ormisda, papa dell’Antica Roma, che si addormentò nel 523.

17           Il santo martire Miron.

                Il nostro venerando padre Elia il Nuovo.

Questo nostro padre nacque in Enna, dalla nobile famiglia Rachitis, e si chiamò Giovanni. Rapito dai Saraceni e venduto come schiavo in Africa, ma la santità del giovane non restò nascosta all’Emiro che lo liberò e gli diede il permesso di recarsi a Gerusalemme. Così attorno all’878 fu benedetto monaco dal patriarca Elia III, che gli diede il proprio nome. Dopo qualche tempo trascorso al Sinai, si recò ad Alessandria, diretto per la Persia, ma la rivolta degli Zanģ, lo costrinse a tornare sui suoi passi e a recarsi ad Antiochia. Da lì, raggiunte la costa dell’Africa, si imbarcò per Palermo, dove ritrovò la madre, ormai vedova, e attorno all’880 si recò a Taormina, dove il figlio del nobile Giona si fece suo discepolo, prendendo il nome di Daniele. Elia con Daniele si recò quindi nel Peloponneso, stabilendosi in una grotta presso il tempio dei Santi Cosma e Damiano, non lontana da Sparta. Passato poi a Butrinto in Epiro, si recò a Corfù, ospite del vescovo Demetrio, già protopapàs di Reggio, e quindi in Calabria dove, nella Regione delle Saline, fondò un monastero. Nell’888 per qualche anno fu a Patrasso. Convocato dall’imperatore Leone VI, Elia con Daniele raggiunse Naupatto, traversò la Grecia centrale e la Tessaglia, e giunto a Tessalonica si recò a venerare le reliquie di san Demetrio. Sentendosi mancare, si fece portare con una barella accanto alle stufe dei bagni pubblici, dietro la basilica. Chiamò Daniele e gli disse: “Non lasciarmi qui, e non fare trasportare il mio corpo nella Capitale. L’imperatore cercherà di ottenerlo: tu mandagli la lettera che ti ho consegnato; egli farà secondo quanto vi è scritto. Elia parte: addio”. E così detto, si addormentò in pace, nel 903. Sino a giugno dell’anno successivo, poco prima che Tessalonica cadesse in mano agli infedeli, le venerande spoglie rimasero a San Giorgio; giunse infine a venerarle il senatore Vardas: aperta la cassa, il corpo di Elia fu trovato integro ed emanante un penetrante profumo. Una delegazione imperiale, presieduta dal nobile Giorgio, un calabrese residente a Nuova Roma, prelevò la salma e la riportò nel Monastero delle Saline.

18           I santi martiri Floro e Lauro.

                Il nostro padre tra i santi Peregrino, vescovo di Trikala.

Oriundo forse dalla Siria - Peregrino in latino era come dire Straniero - predicò il Vangelo nel territorio d’Agrigento, e fu il primo vescovo di Trikala, oggi detta Caltabellotta.

19           Il santo martire Andrea il Generale.

                Il nostro venerando padre Bartolomeo il Nuovo.

Questo santo è nato nel 1050 circa, a Sìmeri di Catanzaro, da Giorgio ed Elena, che lo chiamarono Basilio. Divenuto adulto, egli si recò dal grande asceta Cirillo, che allora viveva con pochi asceti lungo il torrente Militino. Questi lo veste del sacro abito monastico, gli cambia il nome in quello di Bartolomeo, e lo istruisce alla rigorosa osservanza dei canoni monastici. Bartolomeo andava in giro con i piedi scalzi, coprendo il corpo con una sola e povera tunica, stringendo i fianchi con una cintura di cuoio; aveva, poi, un bastone a forma di croce tra le mani, come l’apostolo Andrea. Così si reca a Rossano, e trova un oratorio dedicato al martire Sisinnio, nel quale abitava il gheron Biagio, che gli indica una grotta in cui vivere in solitudine: in essa si diede alla Preghiera continua e al digiuno.

Una volta che il ghèron Biagio saliva in visita al santo insieme a Cirillo, appare davanti a loro una colonna di fuoco che dalla terra si estendeva fino al cielo stesso. Sbigottiti, stettero muti: dopo che quella luce soprannaturale si allontanò dalla loro vista, trovano Bartolomeo, illuminato e glorificato nel volto. Anche alcuni cacciatori, trovatisi davanti alla grotta, spaventati per l’improvvisa e inconsueta vista, stavano per fuggire. Ma quel grande disse loro:Non abbiate paura! Ho scelto di abitare in questo luogo a causa dei miei peccati”. Ed essi, avvicinatisi di più, ne vedono l’aspetto angelico e divino.

Ed ecco che, soggiogati dalla sua dolcezza, molti lo supplicarono di averlo come guida verso la salvezza. Egli, allora, accogliendoli, li guidava alla vita solitaria, dimorando con loro in una Casa di preghiera che molti anni prima era stata costruita da un certo monaco Nifon, dedicata alla Madre di Dio e a Giovanni Battista, detta Rochoniate. La schiera intorno a lui cresceva di giorno in giorno; per questo il padre si dedica allora alla fondazione di un monastero, con l’aiuto dell’ammiraglio Cristodulo, e accettò di essere ordinato sacerdote dal beato Policronio, vescovo della città di Kallipoli in Puglia, poiché il vescovo del luogo e quello della vicina Santa Severina si erano uniti ai Latini.

Bartolomeo, dato che i suoi compagni di ascesi avevano bisogno di libri sacri, e inoltre era necessario che quel tempio della Madre di Dio venisse ornato di suppellettili sacre e icone, parte verso la sovrana delle città, Nuova Roma. Ed essendosi incontrato con gli imperatori che reggevano l’Impero dei Romani con grande ortodossia, Alessio e Irene, ottiene una splendida accoglienza da parte loro e di tutto il Senato e viene ricolmato di molti e ricchi doni, sia di venerande icone sia di libri e suppellettili sacre. E uno di quelli che avevano grande autorità, Basilio Calimeris, gli donò il Monastero di San Basilio sul Monte Athos: e avendone il santo accettato il governo, divenne autore di molto giovamento per gli asceti di quel monastero. Da allora esso rimase sottoposto all’illustre padre, e per questo fino a oggi è chiamato Monastero del Calabrese.

Partito da lì, fa ritorno al proprio monastero , ma due monaci latini di Mileto si recarono dal re Ruggero, dicendo: Bartolomeo è un eretico”. Subito fu redatta una lettera contro il santo, che diceva di comparire al cospetto del re, nella città di Messina. Il santo si mise in viaggio e il re, dopo che lo vide, fece venire al suo cospetto i calunniatori. Presentatisi al tribunale, essi accusarono apertamente il santo, ma egli non contestò loro neanche una parola; disse anzi che tutto stava così come dicevano. Avendo il re sentito che il santo aveva ammesso tutte le accuse portate contro di lui, fu emessa la sentenza: che fosse dato alle fiamme. Il santo disse: Sono sacerdote: lasciatemi celebrare la sacra Mistagogia e poi si esegua la sentenza”. Subito viene data al santo la veste sacerdotale e nella chiesa di San Nicola detta di Punta, vicino Messina, andò il re, portandovi anche il santo in catene. Appena il re entrò nel tempio per vedere, lui e molti magnati videro una colonna di fuoco che si alzava dai piedi del santo fino al cielo e angeli che lo servivano. Subito brivido e stupore prese tutti quanti e tutta la città fu turbata; tutti si gettarono ai piedi del santo. Il re chiedeva perdono, e disse: Padre, disponi di questo luogo dove è stato accesa la pira contro di te”. Egli decise che vi sorgesse un tempio col nome del Salvatore, e i crudeli Potenti liberarono e consegnarono in dono a Bartolomeo alcuni ortodossi che tenevano in catene, pronti a essere impiccati. Il beato cade in una lieve malattia e prevedendo, grazie al divino Spirito che abitava in lui, il giorno della sua morte che ormai si avvicinava, pose l’anima nelle mani di Dio; era il diciannove del mese di agosto 1130.

                Il nostro venerando padre Nicola il Politis.

Nato in Aderno, cioè Adrano di Catania, nell’XI o XII secolo condusse vita ascetica sull’Etna e poi sui monti Peloritani; le sue reliquie sono conservate in Alcara Li Fusi, presso Messina.

                Il santo profeta Samuele.

21           Il santo apostolo Taddeo.

22          Il santo martire Agatonico.

23          Il santo martire Lupo.

                Il santo martire Callinico, arcivescovo di Costantinopoli, che fu esiliato nell’antica Roma, nell’705.

                Il nostro venerando padre Nicola il Siculo, che fondò il monastero del Monte Skotinì in Eubea.

24          del santo martire Eutico.

                I santi martiri Gregorio, Teodoro e Leone.

I militari Gregorio e Teodoro, con la recluta Leone, siciliani o solo militari di stanza in Sicilia, al tempo di Costanzo II, morto nel 361, o più probabilmente di Costante II, morto a Siracusa nel 668, per non aver parte con l’eresia - ariana del primo, monotelita del secondo - disertarono e si rifugiarono a Cefalonia, dove vissero santamente, nascosti in un bosco. I loro corpi furono ritrovati incorrotti da un facoltoso abitante dell’isola, un certo Achille, che li depose in una chiesa costruita in loro memoria. Le reliquie furono poi depredate dai Crociati, che le donarono alla chiesa veneziana di San Zaccaria.

25          Arrivo delle reliquie dei santi Bartolomeo, Papìa, Luciano, Acacio e Gregorio.

Gli eretici armeni, che avevano ripudiato il Concilio di Calcedonia nelle assemblee del 491 a Vagharshapat e del 527 a Dvin, chiuse in cassa le reliquie dei santi, le buttarono a mare. La cassa non affondò, anzi traversò l’Ellesponto, l’Egeo, lo Ionio e lo Stretto di Messina: al suo apparire, l’isola Ierà, cioè Vulcano, si spostò per lasciarla passare. La cassa si arenò sulla spiaggia di Lipari, dove fu raccolta dal vescovo sant’Agatone. In seguito, le reliquie di san Papìa furono traslate a Mylai, cioè Milazzo, quelle di san Luciano a Messina, quelle di sant’Acacio a Skalo, forse Squillace, e quelle di san Gregorio a Kolimi, forse Stalettì. Le reliquie dell’apostolo, poi, nel 983 furono rubate dai Saraceni e vendute alla città di Amalfi, da dove poi furono traslate a Roma e deposte nell’Isola Tiberina.

                Il nostro venerando padre Minà, patriarca di Costantinopoli.

26          I santi martiri Adriano e Natalia.

27           Il venerando Pimen.

28          Il venerando Mosè l’Etiope.

29          La decapitazione del Precursore: digiuno.

30          I santi patriarchi della Nuova Roma, Alessandro, Giovanni e Paolo il Nuovo.

31                           La deposizione della preziosa cintura della Madre di Dio nel santo tesoro di Chalkoprati.

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