Aìr (cielo) α) Riquadro di stoffa pregiata (anche molto grande: per es. 80\120 x 200 cm) che ricopre i Doni, corrisponde sia al velo del calice che all’omerale della tradizione latina. Nell’uso moderno, oltre che con l’aìr, si usa coprire, separatamente, il disco e il calice con coperture metalliche oppure con veli più piccoli. Al Credo, il sacerdote agita l’aìr sui Doni sino alle parole è salito ai cieli, lo ripiega e lo pone alla sua destra. Non è corretto usarlo per “benedire”: il sacerdote benedice solo con la mano destra. β) Un ricco e ampio omerale usa il diacono – nelle più solenni celebrazioni “da cattedrale” – per reggere l’ekklisìa.
Anàlavon o anavòleon, usato di più nella tradizione latina (amitto), oggigiorno è usato soltanto dall’ipodiacono (perché il vescovo si asciughi le mani).
Colori La differenziazione tra svariati colori – e relativa simbologia - è nata nel XIII secolo all’interno della cristianità occidentale, e dall’Occidente si è diffusa poi (XVIII secolo) tra gli Slavi. La Chiesa conosce due tipi di paramenti liturgici: festosi (“splendenti”) e neri, prescritti per le celebrazioni a carattere penitenziale. Per “nero” si deve intendere un generico scuro: nero, ma anche violaceo, vinaccia, amaranto, blu scuro, ecc.
Ekklisìa vedi navetta.
Epigonation E’ la mappula romana: oggi è come una “borsa” romboidale, di circa 40x40 cm, che i sacerdoti insigniti d’una qualche dignità ecclesiastica fanno pendere – come dice il nome – sul ginocchio destro.
Kamilafchion Copricapo di feltro nero, indossato sempre dal sacerdote e dal diacono, i quali – se monaci – vi soprappongono un erriptario o velo nero. In origine era un berretto di lana (càmelos?) o di canapa (càmilos?); nella sua forma antica lo si vede oggi usato dal Papa di Roma (il camelaucium), e – irrigidito - dal Katholikos della Georgia.
Katasarchion Corrisponde al crismale della tradizione latina: è una tovaglia di lino bianco, che avvolge interamente la Mensa, sigillata il giorno della sua consacrazione. Non va mai tolta né – tanto meno – sostituita.
Liturgia Una comune quanto falsa etimologia interpreta come λαοῦ ἔργον (azione del popolo), interpretazione che in passato attrasse molti studiosi – anche ortodossi – ossessionati da idee “democratiche”. In realtà è da intendere come λίητος ἔργον, ovvero opera pubblica. Liturgia, infatti, era l’onere e l’onore assegnato a un maggiorente di pagare in anticipo le tasse, di provvedere all’educazione di qualche giovane, di armare una nave da guerra, d’allestire un pubblico banchetto, ecc. Ne segue che: a) Le Liturgie “private” sono un controsenso (privata azione pubblica?!) e sono illecite, così come illecite sono Liturgie dettate da personale, privata devozione, o estemporanee, che non facciano parte del “tempo” di una comunità, della sua ordinata vita; b) a differenza dei Misteri antichi, la divina Liturgia è sempre stata pubblica, aperta alla libera partecipazione dei fedeli (son questi a “chiamare” il sacerdote, non è il sacerdote che convoca i fedeli); c) solo il Vescovo celebra lecitamente la Liturgia; i sacerdoti possono celebrare solo se sono con il vescovo o da lui delegati.
Màktron E’ un asciugatoio abbastanza grande (40x80?), di colore obbligatoriamente purpureo (vinaccia, amaranto), che il diacono usa per asciugare la coppa del calice e per evitare che, durante la Comunione, cadano gocce o frammenti dei Doni. Può essere usato anche al posto della Palla (v).
Mitra E’ niente altro che un camelaucium (kamilafchion) da cerimonia, che recentemente ha preso forma di corona, usatο esclusivamente dal vescovo durante parte della Liturgia.
Navetta Il carbone va conservato in un recipiente ermeticamente chiuso (perché non prenda umidità); nella navetta invece si conserva l’incenso. In alcune solenni celebrazioni delle cattedrali (oggi, solo nei monasteri), si usa una lussuosa navetta di grandi dimensioni, spesso in forma di tempietto (da cui il nome di ekklisia) che il diacono regge, utilizzando un grande omerale, sulla spalla destra.
Palla La parola (latina) indica un piccolo tondo o quadrato di stoffa irrigidita che copre il calice per evitare che vi cada alcunché.
Pròsforo Pane di grano offerto per la celebrazione eucaristica. Si consiglia l’uso di farina per panificazione, se si vuole mescolata a semola; rechi sempre recare l’apposito sigillo. Un tempo era di forma quadrata: sotto la Francocrazia assunse aspetto tondeggiante, per farlo simile alle ostie dei Latini. Tratto l’Agnello (pur sempre quadrato!) da un prosforo, per le varie commemorazioni è giusto utilizzare tutti gli altri pani offerti dai fedeli.
Ripidion Ventaglio (di pergamena, legno, metallo anche prezioso, persino d’avorio, con spesso raffigurante un serafino), che viene agitato sui santi Doni dal diacono durante l’anafora. Ripidia di grandi dimensioni sono portati da inservienti accanto alla croce che apre una qualche processione, o per scortare solennemente reliquie o icone.
Zostikòn o anderì, esòrason, è una talare di colore sobrio (grigio, blu, nero), indossata sempre (a norma del Quintosesto), da sacerdote e diacono; alcuni vi sovrappongono un condòrason, una sorta di gilè o giacchetta senza maniche. In genere è raccolto ai fianchi da un nastro (da una cintura di pelle i monaci). Il cànone 16 del VII Concilio vieta d’usare stoffe “di lusso” e colori sgargianti.
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