venerdì 28 agosto 2009

Celebrazioni a Reggio - Settembre

Martedì 1 Capodanno romano ore 8.30, benedizione dell’acqua

Sabato 5 ore 18, Vespro

Domenica 6 san Michele ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Lunedì 7 ore 18, Vespro

Martedì 8 nascita della Tuttasanta ore 8.30, divina Liturgia

Giovedì 10 ore 18, Vespro

Venerdì 11 sant’Elia lo Speleota ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Sabato 12 ore 18, Vespro

Domenica 13 ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia;

ore 18, Vespro

Lunedì 14 esaltazione della Croce ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Sabato 19 ore 18, Vespro

Domenica 20 ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Sabato 26 ore 18, Vespro

Domenica 27 sant’Aristarco ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

I cristiani e l’Islām

Abūl-Kāsim ibn ‘Abd-Allāh, detto Muhammad (= il glorificato), Maometto, nacque il 20 aprile 570 alla Mecca, in una famiglia di mercanti della potente tribù araba dei Qurays. Sin da giovane, spostandosi con carovane di mercanti, ebbe modo di conoscere ebrei, cristiani ortodossi e cristiani eretici, monofisiti: si narra anzi che proprio uno di questi abbia predetto a Maometto il suo straordinario futuro. Attorno al 612 Maometto inizia a predicare l’Islām, cioè l’abbandono o sottomissione totale e incondizionata ad al-ilāh (Allah), la divinità per eccellenza. La predicazione diviene ben presto travolgente: alla morte di Maometto - l’8 giugno 632 - l’Islam è già una grande potenza politico-militare, oltre che religiosa, capace di fronteggiare lo Stato romano e di opporsi al cristianesimo. In pochi decenni, l’Islam riuscirà a sottrarre ai Romani vastissimi territori e ai cristiani la stessa madre delle Chiese, Gerusalemme.

Inizialmente i cristiani considerano gli islamici - i “musulmani” - soltanto come eretici: come cristiani che hanno qualche opinione errata riguardo alcuni punti della fede, ma pur sempre cristiani. Non pensano, per esempio, che essi davvero neghino la Triade divina, ma solo che non sappiano esprimerla compiutamente. In molte regioni, da principio i cristiani accolgono con entusiasmo gli islamici, salutandoli come liberatori dal centralismo e dal fiscalismo statale. Da parte sua, il mondo islamico fa sue non poche tradizioni e mode dei Romani (cioè, dei greci ortodossi) e dimostra rispetto nei confronti dei cristiani, in particolare per la vita monastica.

A seguito però delle Crociate franco-germaniche, che provocano stragi immani sia di Islamici che di cristiani ortodossi, seguaci di Maometto e fedeli a Cristo non sono più capaci di vivere insieme e di parlarsi. Mentre gli ortodossi continuano a considerare gli Islamici come eretici ma pur sempre “cristiani”, gli Islamici cominciano a identificare i cristiani tutti con i Crociati e a considerare tutti i cristiani, indistintamente, come nemici. Il fanatismo e poi lo sciagurato nazionalismo importato anche tra gli Islamici dall’Occidente, hanno reso pressoché impossibile qualsiasi forma di dialogo tra Cristiani e Islamici: questi sembra non vogliano ascoltare le ragioni dei cristiani (che identificano senza distinguo con alcune Potenze politico-militari occidentali), mentre, da parte loro, i Cristiani sembra siano incapaci di “testimoniare la speranza”, esponendo serenamente e sinceramente la loro fede.

Se il dialogo tra Islamici e Cristiani oggi è o sembra impossibile, tale non è stato un tempo: qui si riportano alcuni esempi, tratti principalmente dalla storia della Italia romana (cioè greco-ortodossa).

Il caso di santa Oliva

Con la diffusione del culto di santa Febronia, popolare in tutta l’Italia Meridionale, fu conosciuta anche santa Livia [1 maggio], che le fu socia nel martirio: all’una e all’altra furono dedicate non poche chiese, particolarmente in Sicilia [da Messina proviene l’unica passio conosciuta di santa Livia].

Può darsi che un reliquiario di santa Livia sia stato razziato da Saraceni a Palermo o in qualche altra località dell’Isola e portato a Tunisi. Quando in Sicilia si venne a sapere che a Tunisi c’era una moschea chiamata az-zaitūm (dell’olivo), si sognò - si sperò - che vi fossero conservate le reliquie di santa Livia, santaliva, sant’Oliva. Non sapendo più nulla - in ambiente normanno - di una santa Livia, si favoleggiò che una giovane asceta siciliana fosse sepolta nella Moschea di Oliva (sic), e nel 1402 i siciliani chiesero addirittura d’averne qualche reliquia al califfo Abû Fâris Azir.

Elia di Enna

Giovanni, della nobile famiglia Rachitis, nacque a Enna. Vissuto sin da adolescente nell’Africa del Nord, si fece ben presto stimare dall’Amîr al-mu’minîn - il Principe dei Credenti - che gli diede ampia libertà di movimento. A Gerusalemme rivestì l’abito monastico, prendendo il nome di Elia, e si stabilì nel Monastero di Santa Caterina al Sinai. Dopo essere stato ad Alessandria, intraprese un lungo viaggio verso la Persia; fu quindi in Siria e in Algeria - Tunisia, prima di rientrare in Italia meridionale. Tutta la vita di Elia fu un continuo viaggio (Peloponneso, Epiro, Corfù, Roma Antica, Patrasso, Tessaglia, Tessalonica, … oltre a innumerevoli località dell’Italia Meridionale). Sempre circondato dal rispetto delle autorità islamiche, Elia partì per la Patria celeste nel 903, un 17 agosto, giorno in cui viene celebrato come santo.

Con molte Autorità islamiche Elia poteva vantare un’amicizia personale: storici moderni sospettano persino che egli sia stato un “agente segreto”, una specie di ambasciatore al servizio dello Stato romano per trattative con gli Arabi. Nella Vita di Elia si legge d’un incontro con alcuni Saraceni, avvenuto poco prima dell’880, durante il quale il santo spiegò:

La fede di noi cristiani è pura, immacolata, attestata dai profeti e dagli apostoli, confermata dai segni e straordinari prodigi operati dai santi. Noi osserviamo stile di vita puro e incorrotto, allontanamento dalle questioni di questo mondo, verginità e devozione; abbiamo in onore le nozze pure ed esenti da passioni smodate; rispettiamo la ricchezza terrena purché non siano dimenticati i poveri; consigliamo semplicità nel vestire, per quanto basti alle necessità fisiche; esortiamo e incoraggiamo a non trascurare questi precetti. Noi crediamo nel Padre Figlio e Santo Spirito, ma non glorifichiamo tre divinità o tre nature: non conosciamo infatti altro dio che il solo e unico Dio che è Padre, Figlio e Spirito, né pensiamo che le tre Persone siano diverse dall’unico Dio. Proclamiamo un solo Principio di una sola divinità, un solo Regno, una sola Potenza, una sola Forza, un solo Atto, un solo Consiglio, una sola Volontà, una sola Sovranità, una sola Signoria divina dell’unica essenza tripersonale.

Voi invece, limitando la divinità a un solo essere creato, credete come gli ariani, per i quali la Parola del Padre è creata; affermando che Cristo è un semplice uomo oppure che non si è sottoposto realmente alla passione, seguite alcune eresie cristiane; facendovi circoncidere, seguite le usanze dei giudei.

Il vescovo Ippolito ?

Un altrimenti sconosciuto vescovo della Sicilia trinacride (l’Isola) o della Sicilia continentale (l’attuale provincia di Reggio Calabria), a nome Ippolito, nel IX secolo, con straordinaria lungimiranza dice:

Il leone, l’imperatore dei Romani amante di Cristo, unendo le sue forze a quelle del leoncino, il Califfo degli Arabi, deve scacciare l’asino selvatico, il barbaro ed empio re degli atei Franchi.

Gregorio Palamas

Gregorio, detto Palamas, nacque nel 1297: suo padre era il più stimato senatore dello Stato romano, tanto da essere scelto dall’imperatore Andronico II come educatore del futuro imperatore Andronico III. Compì gli studi all’Università di Nuova Roma con risultati strabilianti: appena diciassettenne, fu pubblicamente lodato come nuovo Aristotele. Destinato a una brillante carriera, nel 1317 abbandonò il mondo e si fece monaco al Santo Monte, dove fu inizialmente discepolo di san Niceforo l’Esicasta, un calabrese che si era rifugiato all’Athos per scampare al rogo cui era stato condannato dalla “Santa Inquisizione”. Gregorio fu presto richiamato dalla tranquillità del Santo Monte per combattere le empie dottrine di Barlaam, un dotto calabrese, anche lui costretto a rifugiarsi a Costantinopoli a causa dell’Inquisizione, che però era scivolato nell’eresia, anzi proprio nell’ateismo. Nel 1347 Gregorio fu consacrato arcivescovo di Tessalonica (dopo Nuova Roma, la città più importante del tempo); nel 1354, mentre era in viaggio, fu rapito dai Turchi e solo dopo un anno liberato, grazie a un fortissimo riscatto pagato da Stefano Dušan, re di Serbia, ammirato dalla sapienza di Gregorio ma ancor più dalla sua santità. Il 14 novembre 1359 Gregorio si addormentò in pace a Tessalonica e fu sepolto nel tempio della Sapienza Divina, dove fu subito venerato. Moltiplicandosi i miracoli sulla tomba, ma soprattutto crescendo la fama della sua dottrina, nel 1368 fu stabilito che la memoria di san Gregorio Palamas dovesse essere celebrata in tutta la Chiesa non solo il 14 novembre ma anche ogni seconda domenica della Grande Quaresima.

Ostaggio dei Turchi, Gregorio scrisse una lettera ai suoi fedeli di Tessalonica, nella quale narra d’una conversazione avuta con il nipote dell’emiro Orkhan, Solimano, il quale parlava correntemente il greco.

Anche voi cristiani praticate l’elemosina?

La vera elemosina è il risultato dell’amore per Dio; chi più ama Dio, più pratica la carità.

Perché voi non amate il Profeta?

Perché chi non ha fede nelle parole del maestro, non può amare il maestro come maestro.

Voi amate Gesù, eppure dite che è stato messo a morte in croce.

Egli è volontariamente salito sul legno della croce, accettando in quanto uomo la passione, pur restando impassibile in quanto Dio.

Perché venerate il legno della croce?

Anche tu onori il simbolo della tua religione, mentre detesti grandemente chi lo disprezza: la croce è trofeo e simbolo di Cristo.

Voi cristiani affermate che Dio ha avuto una donna, la quale ha generato un figlio.

Voi islamici riconoscete che il Cristo è Parola di Dio, e che è nato dalla vergine Maria. Dite quindi che Maria non ha avuto bisogno d’un uomo per partorire corporalmente la Parola di Dio. Tanto più, Dio non ha bisogno d’una donna per generare l’incorporea ed eterna Parola di Dio.

Osservando le usanze funebri dei musulmani, Gregorio chiese spiegazioni a un dasmad [incaricato dei riti]. Questa conversazione si svolse con l’aiuto d’un interprete. Gregorio chiede:

Perché avete trasportato la bara con grida acute e poi, disponendovi a cerchio attorno alla bara, per tre volte avete levato le mani al cielo pregando?

Abbiamo pregato per il morto, chiedendo perdono a Dio delle sue colpe.

Certo: il giudice ha il potere di concedere il perdono. Anche noi crediamo che Cristo verrà come giudice di tutto il genere umano, innalzando a lui preghiere e suppliche. Quindi anche voi, come noi, invocate Gesù come Dio e giudice, sapendo che egli è indivisibile dal Padre, in quanto Parola a lui connaturata! Infatti non c’è mai stato né mai ci sarà un momento in cui Dio è privo della Parola.

Ma il Cristo è servo di Dio!

Però anche voi dite che egli giudicherà i vivi e i morti, i quali staranno attorno a lui, assiso nel suo tremendo e giusto tribunale. Abramo, che riconoscete come vostro progenitore, dice a Dio: Il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?. Sicché colui che giudicherà tutta la terra è lo stesso Dio, re dell’universo, e non esiste come diverso dal Padre quanto alla deità, come i raggi del sole non diversi dal sole quanto alla luce.

Noi veneriamo tutti i profeti e i libri che provengono da Dio, uno dei quali è il Vangelo. Come mai voi non accettate il nostro Profeta e non avete fede nel suo Libro venuto dal cielo?

E’ vostra e nostra abitudine, consolidata dal tempo e dalle leggi, non accettare e non considerare vero niente, senza testimonianza. Le testimonianze sono di due tipi: i fatti stessi, e le persone degne di fede. Mosè corresse l’Egitto con segni e prodigi; con un bastone aprì e chiuse il mare; fece piovere cibo dal cielo, e così via. Voi stessi dite che Mosè è degno di fede, come Dio ha testimoniato chiamandolo “servo fedele”. Dio però non lo chiamò Figlio, né Parola: Mosè salì sul monte divino, ma poi morì e andò a riunirsi ai suoi predecessori. Invece su Cristo - oltre alle incomparabili opere da lui compiute - hanno testimoniato Mosè e gli altri profeti.

Anche voi dite che soltanto lui è Parola di Dio; che soltanto lui è stato generato da una vergine; che soltanto lui è stato fatto salire in cielo, dove rimane immortale; che lui solo verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti. Su di lui dico tutto ciò che anche voi riconoscete: per questo, noi crediamo in lui e nel suo ev-anghelos, buon messaggio.

Nel Vangelo era scritto di Maometto, ma voi avete eliminato quel passo.

Nessun passo del Vangelo è mai stato eliminato o trasformato. Per chi facesse qualcosa del genere, son previste pesanti e tremende maledizioni: chiunque osasse eliminare o modificare qualcosa, sarebbe tagliato fuori. Per di più, il Vangelo fu subito tradotto in molte e diverse lingue: anzi, fin dall’inizio non fu scritto in una sola lingua. Come sarebbe potuto sfuggire - o essere falsificato - un passo? Come avrebbero potuto mettersi d’accordo tanti popoli diversi, lontani, stranieri? Il Vangelo è diffuso anche in molti gruppi eretici, che a volte sono d’accordo con voi, ma non possono indicare niente, a proposito, nel Vangelo di Cristo. Gli stessi Ebrei non hanno mai detto niente di simile. Nel Vangelo ci sono persino affermazioni all’apparenza contrastanti tra loro! Nel Vangelo non c’è nulla che non sia stato annunciato dai profeti: se in esso vi fosse stato scritto qualcosa riguardante Maometto, lo si troverebbe scritto anche nei profeti.

Se per Cristo fosse vero ciò che è vero per Mosè e tutti gli altri profeti (che morirono e furono sepolti in attesa del giudice celeste), per aversi la fine del mondo dovrebbe venire un altro Cristo. Voi stessi però ammettete che Cristo è salito al cielo e anche voi affermate, con noi, che non debba tornare nessun altro che Cristo: è lui che è venuto, che viene e che di nuovo verrà. Noi non attendiamo nessun altro che lui.

Maometto però è risultato vincitore, dall’estremo Oriente fino all’Occidente.

Voi ora risultate vincitori: ma con le armi, le devastazioni, la morte. Niente di ciò può provenire dal Dio buono: è piuttosto volontà che proviene da quel Satana che fin dal principio è omicida. Il grande Alessandro e tanti altri dopo di lui si sono impadroniti della terra con spedizioni militari: nessuno però affidò la propria anima a chi lo dominava con le armi. Ricorrendo alla violenza, non ci si procura alleati veri o amici sinceri. L’insegnamento di Cristo, diffuso con l’amore, ha raggiunto tutti i confini della terra, resiste tra coloro che lo combattono, vince con l’amore ogni violenza. Se fossimo d’accordo a parlarci, noi e voi avremmo una sola fede.

Prima o poi avverrà di trovarci concordi.

Sia presto! L’apostolo Paolo profetizza che, un giorno, ogni lingua o Nazione riconoscerà che Cristo è Signore.

Ai cristiani piuttosto dico: se non testimoniate la fede con le opere, non si tratta più di fede ma di infedeltà; di per sé, anche Satana crede che Cristo è Dio! Senza opere, il nostro non è un Credo; è una negazione. State attenti a non bestemmiare con le vostre opere! Chi mai potrà credervi quando predicate che Gesù è stato generato prima del tempo dal Padre e nel tempo da una vergine, se poi impazzite nei piaceri, di fatto disprezzando la verginità e la temperanza? Vi fate vedere a pancia piena e ubriachi: come fate a dire di essere uniti, nello Spirito, a quel Gesù che ha digiunato quaranta giorni nel deserto e che in tutta la sua vita terrena ha predicato la sobrietà? Come può farlo chi è ingiusto, avido, prepotente?

13 settembre - 14 settembre

13 settembre 2009 - domenica prima della Croce

inaugurazione della (basilica dell’) Anastasis

Tono plagale I – Vangelo Mattinale III

apolitikia

del tono Cantiamo, fedeli, e adoriamo il Logos coeterno al Padre e allo Spirito, partorito dalla Vergine a nostra salvezza: perché nella carne ha voluto salire sulla croce, sottoporsi alla morte e risuscitare i morti con la sua risurrezione gloriosa.

della Croce La vivificante croce della tua bontà, che hai donato a noi indegni, o Signore, noi te la presentiamo a intercessione. Salva i regnanti, e alla tua Città da’ pace, grazie alla Madre di Dio, o solo amico degli uomini.

della Dedica Come la bellezza del firmamento lassù, tale hai mostrato quaggiù lo splendore della santa dimora della tua gloria, Signore. Consolidala nei secoli dei secoli e accetta, per intercessione della Madre di Dio, le suppliche che in essa ti offriamo senza sosta, o vita e risurrezione di tutti.

della chiesa ...

kontakion

Cielo dalle molte luci è stata resa la Chiesa, perché illumina tutti i fedeli; tenendoci in essa noi gridiamo: Consolida, Signore, questa casa.

prokimenon

Salva, Signore, il tuo popolo e benedici la tua eredità. A te, Signore, ho gridato: Dio mio, non stare in silenzio con me!

apostolos

Lettura dell’epistola di Paolo ai Gàlati (6, 11-18)

Fratelli, notate con che grandi caratteri vi scrivo di mia mano. Quanti vogliono far bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. Infatti nemmeno quelli che si sono fatti circoncidere osservano la Legge, ma vogliono che voi siate circoncisi per vantarsi della vostra carne. A me non avvenga mai di vantarmi se non della croce del nostro signore Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso e io per il mondo. Infatti in Cristo Gesù né la circoncisione né il prepuzio sono alcunché, ma la nuova creazione. E a quanti seguiranno questa regola, pace e misericordia su di loro e sull’Israele di Dio. D’ora innanzi nessuno m’infastidisca: porto infatti nel mio corpo i contrassegni di Cristo. La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia col vostro spirito, fratelli! Amin.

alliluia

- Ho innalzato un eletto di mezzo al mio popolo; ho trovato David, mio servo; col mio santo olio l’ho unto:

- la mia mano lo soccorrerà e il mio braccio lo rafforzerà.

vangelo

Lettura del santo vangelo secondo Giovanni (3, 13-17)

Il Signore ha detto: “Nessuno è salito al cielo, fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è nel cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

lunedì 14, digiuno austero; mercoledì 16, digiuno con licenza di vino e olio; venerdì 18, digiuno

14 settembre - universale esaltazione della Croce

apostolos

Esaltate il Signore Dio nostro. Il Signore ha instaurato il suo regno; si adirino i popoli: lui che siede sui Cherubini, si scuota la terra.

Lettura della prima epistola di Paolo ai Corinzi (1, 18-24)

Fratelli, la parola della croce è stoltezza per chi rovina se stesso ma per i salvati, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e toglierò l’intelligenza degli intelligenti. Dov’è il sapiente? Dov’è il letterato? Dove l’intellettuale del momento? Dio non ha forse reso stolta la sapienza del mondo? Poiché, infatti, nella sapienza di Dio, il mondo non ha conosciuto Dio per mezzo della sapienza, è piaciuto a Dio salvare i credenti grazie alla stoltezza della predicazione. I Giudei chiedono segni e i Greci cercano la sapienza; noi invece annunciamo Cristo crocifisso, inciampo per i Giudei, stoltezza per i gentili, ma per i chiamati – Giudei o Greci – Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.

- Ricordati del tuo popolo che hai radunato, che hai acquistato dal principio; hai redento lo scettro della tua eredità.

- Dio è il nostro re prima dei secoli; ha operato la salvezza in mezzo alla terra.

vangelo

Lettura del santo vangelo secondo Giovanni (19, 6-11. 13-20. 25-28. 30-35)

In quel tempo i sommi sacerdoti e i sacerdoti tennero Consiglio contro Gesù per metterlo a morte. E lo portarono a Pilato, dicendo: “Crocifiggi! Crocifiggi!” Dice loro Pilato: “Prendetelo voi e crocifiggete; io infatti non trovo colpa in lui”. Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo la Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”. Quando udì questa parola, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio dice a Gesù: “Di dove sei?” Ma Gesù non gli diede risposta. Gli dice allora Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho potere di liberarti e potere di metterti in croce?” Gli rispose Gesù: “Non avresti alcun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto”. Udite queste parole, Pilato condusse fuori Gesù e sedette sul podio, nel luogo chiamato Lithòstroto, in ebraico Gavvathà. Era la parasceve di pasqua, verso l’ora sesta. Pilato dice ai Giudei: “Ecco il vostro re!” Ma quelli gridarono: “Togli! Togli! Crocifiggilo!” Dice loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?” Risposero i sommi sacerdoti: “Non abbiamo re se non Cesare!” Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi allora presero Gesù e andarono. Ed egli, portando da sé stesso la croce, uscì verso il posto detto Luogo del Cranio, in ebraico Golgothà, dove lo crocifissero e con lui altri due, di qua e di là e Gesù nel mezzo. Pilato scrisse anche l’iscrizione e la pose sulla croce; vi era scritto: Gesù il Nazoreo, il re dei Giudei. Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in greco e in latino. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Klopà e Maria Maddalena. Gesù allora, vedendo la madre e presente il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, perché si compisse la Scrittura disse: “Ho sete!” Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “E’ compiuto!” E reclinando il capo, rese lo spirito.

[Attenzione: il brano seguente manca in alcuni Evangeliari]

Allora i Giudei, poiché era la parasceve, perché non rimanessero sulla croce i corpi di sabato (era infatti grande quel giorno di sabato), chiesero a Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero tolti. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe del primo e dell’altro crocifisso con lui. Venuti da Gesù e vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati, gli trafisse il fianco con la lancia, e subito uscì sangue e acqua. Chi ha visto ha testimoniato, e la sua testimonianza è verace, e sa di dire il vero, affinché anche voi crediate.

giovedì 20 agosto 2009

Divide et impera ?


La prima parrocchia ortodossa (in epoca moderna) nella penisola iberica – a Madrid - risale al 1949, mentre la Metropoli è stata istituita nel 2003 e comprende la Spagna (con Baleari e Canarie), il Portogallo (con Azzorre e Madera), il Principato di Andorra e il minuscolo Dominio inglese di Gibilterra: conta circa un milione e mezzo di fedeli (su circa 50 milioni di abitanti, in maggioranza cattolici); dal 2007 è retta dal vescovo Polikarpos (per circa venti anni sacerdote in Italia). Di recente (Aghios Kosmas o Etolos, 2, 2009, 502-6) il Presule ha lamentato la «freddezza» delle locali Gerarchie cattoliche, le quali avrebbero anche favorito in molti modi l’improvvisa nascita di giurisdizioni non canoniche. In questi ultimi mesi, in una manciata di giorni, oltre a una organizzazione rumena e una russa, sono spuntate nella penisola iberica anche un centinaio di parrocchie Unite, un numero largamente spropositato rispetto a qualsiasi sia pure ipotetica necessità. Si tenga conto che il clero unito può contare su un forte sostegno economico e logistico (edifici di culto, case parrocchiali, Caritas, ecc.) mentre i sacerdoti ortodossi – segnala il Presule - sono costretti a lavorare per sostenersi, tanto che possono dedicarsi al ministero sacerdotale solo nel poco tempo libero (come del resto anche in Italia). Lo stesso Presule lamenta infine le difficoltà che impediscono di giungere alla firma di un Concordato tra Chiesa ortodossa e Governo spagnolo, denunciando che tali difficoltà sono tutte da attribuire alla «superbia di Mosca» e al «malsano nazionalismo di Bucarest».

Calabria ortodossa

In Calabria sono attive istituzioni non canoniche, o gruppi che non sono in comunione con la Chiesa ortodossa (quali gli Uniati o Cattolici di rito bizantino); si consiglia perciò di chiedere informazioni al Vicario arcivescovile (p. Antonio), tel. 0965. 62 24 37 \ 368 755 67 95. I sacerdoti canonici operanti in Calabria al momento sono: p. Atanasio (0981. 32 783 \ 349 280 90 13), p. Daniele (0965 55 191), p. Ilia (392 210 92 38), p. Joan (328 64 35 570).

Emigrazione

Nel 2008 il Sud ha perso più di 120mila residenti, e altri 200mila circa sono i lavoratori stagionali che – pur mantenendo la residenza nel Meridione – di fatto vivono nel nord Italia per gran parte dell’anno. Pressoché totale è poi la scomparsa di studenti universitari greci, un tempo massicciamente presenti a Palermo, Catania, Messina, Reggio, Catanzaro, ecc., ora ridotti a qualche centinaio in tutto e in esaurimento (ormai da anni mancano matricole). Non esistono infine dati relativi agli stranieri che solitamente arrivano massicciamente al Sud (con più lavoro in nero, senza controlli) ma che – appena possono - si spostano an Nord, dove trovano maggiori opportunità di lavoro, remunerazioni più alte e accurati servizi sociali.

Questi dati pongono seri interrogativi sul modello di presenza ortodossa in Calabria o in Sicilia. Dopo il 1992, infatti, sono nate frettolosamente non poche parrocchie fast food, sull’onda d’un certo entusiasmo per l’improvviso arrivo di migranti dai Paesi dell’Est, in numero tale da suscitare anche analoghe iniziative non canoniche. E’ mancata però forse una calma analisi del fenomeno, tanto che oggi si può avere l’impressione di avere sprecato tempo, forze (e, perché no?, denaro) senza costruire su basi solide e durature. Non sono mancate, al contrario, grossolane stime. Si è pensato infatti che tutti i bulgari, rumeni, ucraini, ecc. fossero – proprio tutti – ortodossi, senza tener conto dei musulmani (in Bulgaria, per esempio, il 10% della popolazione), dei cattolici (uniati o latini), dei protestanti delle varie confessioni, dei Veteroritualisti e dei Veterocalendaristi (confessioni massicciamente presenti soprattutto in Romania), degli atei e di quanti sono semplicemente indifferenti. Indifferenza che spesso porta a considerare la “religione” come un fatto puramente etnico, folkloristico: quanti sono infatti gli ucraini – per esempio – che - pur dicendosi ortodossi - a un sacerdote ortodosso preferiscono il sacerdote ucraino, anche se cattolico?

Avvisi di Agosto

Celebrazioni a Reggio - Agosto

Sabato 1 ore 8.30, benedizione dell’acqua; ore 19, Vespro

Domenica 2 ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia; ore 19, Supplica

Lunedì 3 ore 19, Supplica

Martedì 4 ore 19, Supplica

Mercoledì 5 ore 19, Vespro

Giovedì 6 Metamorfosi ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia; ore 19, Supplica

Venerdì 7 ore 19, Supplica

Sabato 8 ore 19, Vespro

Domenica 9 ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia; ore 19, Supplica

Lunedì 10 san Lorenzo ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia; ore 19, Supplica

Martedì 11 ore 19, Supplica

Mercoledì 12 ore 19, Supplica

Giovedì 13 ore 19, Supplica

Venerdì 14 ore 19, Veglia

Sabato 15 transito della Tuttasanta ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia; ore 19, Vespro

Domenica 16 ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Lunedì 17 Sant’Elia il Nuovo ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Sabato 22 ore 19, Vespro

Domenica 23 San Nicola il Siculo ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Venerdì 28 ore 19, Veglia

Sabato 29 il Precursore ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia; ore 19, Vespro

Domenica 30 ore 8.30, Mattutino - divina Liturgia

Taverna greca

A Reggio, in pieno centro (via del Torrione 35), Suvlaki e Sirtaki è un ambiente intimo con autentica cucina greca. E’ consigliabile assicurarsi che ci sia posto: 0965 324 393 oppure 393 962 076.

martedì 18 agosto 2009

Sant’Efrem il Siro: Giona e i Nineviti

(Sintesi di una omelia)

Il profeta Giona, appena salvatosi dai denti del cetaceo, uscì dal mare e iniziò a predicare agli abitanti di Ninevì, ch’erano idolatri. Iniziò a predicare la conversione, come gli aveva ordinato Dio. Suggerì di pentirsi, altrimenti la grande città di Ninevì sarebbe stata distrutta. Il severo monito del profeta atterrì i Nineviti. Si sgomentò quella potente città, fu scossa da capo a fondo. Si spezzò il cuore del popolo e dei governanti, perché era persa la città e ogni speranza.

Ascoltano i regnanti la voce del profeta e tremano; così tanto si umiliano che, gettati via i loro diademi, niente altro vogliono che convertirsi.

Ascoltano i principi e gridano; si tolgono le vesti lussuose e si coprono di umili stracci.

Ascoltano gli anziani, e per l’afflizione si coprono il capo di cenere.

Ascoltano i ricchi, e svelti spalancano i loro forzieri ai poveri.

Ascoltano gli usurai, e all’istante strappano le cambiali.

Ascoltano i debitori, e corrono a pagare i loro debiti.

Ascoltano i ladri, e in fretta restituiscono il maltolto ai proprietari.

Ascoltano i giudici, e fanno finta che i delinquenti non abbiano commesso crimini, condonando ogni cosa. Ascoltano gli assassini, e confessano i loro delitti, né si rifiutano di presentarsi ai giudici. Ma anche i giudici ascoltano, e perdonano, perché in questo indescrivibile tumulto nessuno ha più il coraggio di condannare.

Ascoltano i peccatori, e confessano le loro malvagie azioni.

Ascoltano i servi, e maggiormente rispettano i loro padroni.

Ascoltano i ricchi e le persone importanti, e abbassano la cresta.

In breve, ognuno iniziò a pensare alla propria salvezza e a supplicare Dio. Nessuno volle più il male del prossimo; ora tutti volevano una sola cosa: guadagnarsi l’anima. Tutti seminavano amore per mietere perdono!

Il profeta Giona fu inviato a Ninevì come medico, e il medico ripulì le ferite e applicò il farmaco adatto a chiudere le piaghe; come bisturi usò la sua voce ammonitrice. Non chiamò a qualche modifica: chiuse proprio la porta della speranza, perché – spaventati – smettessero dalle brutture che provocano le malattie spirituali. La Grazia di Dio non aveva mandato Giona per distruggere la città, ma per trasformare la città.

Ninevì ascoltò il suo monito profetico e ritornò sulla retta via della vita, in digiuno e preghiera, dimostrando quanto coraggio dia rifugiarsi in Dio, perché egli cambia la sua decisione.

Hanno fine i sontuosi banchetti dei potenti… Che dico? Persino i lattanti smettono di allattare: gli altri, come potrebbero ricercare pranzi prelibati? Gli animali non vanno più all’abbeveratoio: e gli uomini, come potrebbero bere vino? Il re si veste di sacco: e gli altri, come potrebbero vestire eleganti? Le donne di strada rinsaviscono: e chi penserebbe più a fidanzamenti e nozze per i propri figli? Gli sbandati, per paura, si danno una regolata: e quali labbra potrebbero più muoversi al riso? Tutti piangono e gemono: chi potrebbe ancora cercare divertimenti? I mascalzoni denunciano le loro stesse malefatte: dove trovare più delinquenti? La città sta per essere distrutta: chi pensa più a custodire la propria casa?

A terra si vedono disseminati gioielli, e tutti li scansano. Le casse sono spalancate, e nessuno vi si avvicina. I libertini chiudono gli occhi per non guardare con desiderio le bellezze muliebri, e le donne si coprono per non far inciampare gli uomini.

Ognuno cerca d’aiutare il prossimo, avvantaggiando se stesso, per potersi tutti salvare. Ognuno incita l’altro alla preghiera e alla confessione. Ognuno sta attento a che nessuno dei suoi familiari cada in peccato. Tutta la città, insomma, è diventata un solo corpo. Nessuno piange per salvare se stesso, ma supplica per la salvezza di tutti. Tutti, come un sol uomo, sono in pericolo di sparire, di essere distrutti. I giusti pregano per i peccatori, e i peccatori gridano a Dio perché ascolti i giusti.

Raccogli il tuo spirito, fratello mio, e osserva come tutti vivevano in grande lutto. Il cuore straziato dei fanciulli gettava tutta la città nello sconforto. Il continuo urlo dei bambini spezzava il cuore dei padri. Gli anziani si strappavano i capelli: al vederli, i giovani levavano alti lamenti. Si vedevano morire tutti insieme, nello stesso istante; pensavano che avrebbero dovuto seppellirsi a vicenda.

Da mattina a sera contavano i minuti che li separavano da ciò che Giona aveva minacciato: “E’ passato un giorno! Ancora poco! Ecco la fine!”

Il bambino chiede al babbo: “Dimmi, a che ora l’Ebreo ha detto che tutti scenderemo vivi nell’ade? Quando sparirà la nostra bella città? Quando saremo annientati?” Il babbo, trattenendo a stento le lacrime, per non far morire il figliolo dalla disperazione prima del tempo, lo consola dicendo: “Non aver paura, amore mio. Fatti coraggio! Il Signore ci vuole molto bene. Non abbandonerà la sua creatura. Il pittore assicura e protegge con attenzione l’immagine inanimata, e l’ama come un figlio: il Signore custodirà la sua animata e razionale immagine. No, non distruggerà la nostra città! Il profeta, con la sua minaccia vuole solo chiamarci a conversione. Ricordi, piccolo mio, quante volte ti ho bastonato? Vedi come è stato utile? La punizione ti ha reso più saggio e consapevole. Come un padre, ora il Dio filantropo ci minaccia col suo bastone, per mettere paura ai suoi figlioli e farli rinsavire, Punisce, ma non fa morire. Illumina e guida alla conversione. Consolati, figlio, e smetti di piangere: la nostra città non sparirà…”

Così i Nineviti, consolando con queste parole i loro figli, senza volerlo erano profeti. Erano davvero profeti: la penitenza li rese profeti a loro insaputa; perciò non smisero di piangere e gemere. Consumarono in digiuno e incessanti preghiere i pochi giorni predetti per la catastrofe.

Esce il re dal Palazzo, e tutta la città trema atterrita, vedendolo vestito di sacco.

Il re vede la città piombata nel lutto, e i suoi occhi si annebbiano. Piange la città sul re, vedendo il suo abbattimento; piange il re sulla città vedendone l’afflizione. Il pianto e il gemito spezzano anche le pietre.

A confronto di quella dei Nineviti, la nostra penitenza è solo un sogno, un’ombra che in fretta va via e svanisce. Chi di noi prega in quel modo? Chi di noi supplica con la stessa intensità? Chi si umilia così incredibilmente di fronte a Dio? Chi cambia così radicalmente le proprie azioni occulte o palesi? Al solo ascolto d’un avviso, chi si pente dei suoi peccati sì da struggersi e spezzare il cuore? Chi ha cambiato testa solo per aver ascoltato una parola? Chi mai, sentendo una minaccia, s’è fissato in mente il ricordo della morte? Chi si è presentato pentito innanzi al filantropo Dio?

Tutti insieme fanno lutto, perché tutti hanno sentito che i loro giorni sono del tutto alla fine. Tutta la città piange perché sta sprofondando viva nell’ade.

Il re aduna l’esercito e con le lacrime agli occhi dice: “Quante battaglie abbiamo vinto! Quante volte avete trionfato con me, battendovi da prodi contro i nemici! Ora però non dobbiamo affrontare una solita guerra. Abbiamo sottomesso popoli e nazioni, e ora corriamo il rischio di essere sottomessi da un Ebreo insignificante! Il nostro potente grido di battaglia ha fatto tremare condottieri e regni, ma ora la voce di questo piccolo uomo ci incute così tanto timore? Abbiamo raso al suolo molte città, e ora nella nostra città comanda uno straniero! Ninevì, madre di giganti, dentro le tue stesse mura sei piombata nel caos per la presenza di un solo Ebreo! Sul mondo intero ruggiva la leonessa, Ninevì! E ora contro di lei ruggisce un Giona qualunque. Non stiamo inerti, compagni, in questa difficile ora; non abbattiamoci come ragazzine. Quando si affronta virilmente il pericolo, si guadagna sempre: chi resta in vita trionfa, e chi muore sarà esaltato come forte e maschio atleta. Forza, dunque! Resistiamo con coraggio, lottiamo con forza. Se vinceremo, se moriremo, dietro di noi lasceremo un nome glorioso. Abbiamo udito che il giudizio di Dio colpisce i malvagi e li guida a dovere, mentre la sua filantropia elargisce salvezza. Avremo perciò timore del suo giudizio, affinché aumenti il suo amore; se placheremo la giustizia di Dio, otterremo l’abbondanza della sua misericordia. Non ignoriamo Giona. Non prendiamo alla leggera il suo annuncio. Davanti a tutti lo ho interrogato a fondo, per saggiare le sue parole; l’ho strapazzato ma non c’è cascato; l’ho minacciato ma non si è intimidito; gli offerto soldi, e mi ha disprezzato; gli ho puntato contro la spada, e se ne è fatta un baffo: minacce e promesse non l’hanno piegato dalle sue convinzioni. La sua parola è stata per noi come uno specchio. Abbiamo visto che in lui dimora il Dio che ci rinfaccia le nostre azioni malvagie. E’ venuto tra noi come un medico coscienzioso, che non nasconde la verità al malato. Non si fa scrupolo di spiegare che c’è bisogno di un intervento chirurgico. Come pensare che è falso il profeta che minaccia sciagure? Fosse stato bugiardo, avrebbe parlato in modo diplomatico, con apparente gentilezza. Se ci avesse parlato di vittorie e di pace, avremmo potuto sospettare che si tratti d’uno scroccone, che ci profetizza qualcosa di buono perché si aspetta regali e vantaggi. Ma costui dalle nostre mani non ha accettato neppure un tozzo di pane: digiuna e prega. Forse che voglia ardentemente la distruzione della nostra città perché non sia smentita la sua profezia? Opponiamoci a lui digiunando e pregando anche noi: in vero, non lui ma noi abbiamo peccato! Amici miei, la nostra città non sarà distrutta dal profeta, ma la distruggeremo noi, con le nostre opere cattive. Il nostro nemico non è Giona; c’è un altro nemico, invisibile, furbissimo: è lui che dobbiamo combattere con coraggio. Abbiamo sentito parlare delle lotte del giusto Giobbe: è nota la sua prova, per cui come una tromba risuonò in tutto il mondo la sua vittoria sul diavolo. Se il diavolo lotta così duramente contro i giusti, come ancor peggio non lotterà contro di noi peccatori? Abbiamo vinto regni in guerra: con la nostra conversione, ora dobbiamo vincere Satana! Avanti! Misuriamoci con lui! Togliete la corazza e indossate un sacco; scartate le frecce e rifornitevi di preghiera; mollate la spada e impugnate la fede; spezzate lo scudo e proteggetevi con il digiuno! La nostra vittoria su Satana sarà la nostra più grande vittoria. In tutte le guerre sono stato sempre in prima fila: anche ora sarò alla testa di tutti voi!”

A queste parole, i soldati abbandonano le armi e si vestono di sacco, come il re; ora si veste umilmente chi prima indossava uniformi sgargianti.

Il re mandò araldi per chiamare tutta la città a penitenza, dicendo: “Ognuno abbandoni le sue cattiverie, affinché questa battaglia non sia vanificata e oscurata. Il ladro restituisca quel che ha rubato. Il dissoluto rinsavisca. Il collerico sia calmo. Nessuno nutra odio. Nessuno imprechi. Nessuno perseguiti o insulti il prossimo: se noi perdoneremo gli errori degli altri, Dio perdonerà le nostre colpe. Avanti, dunque! Alle armi del digiuno e della preghiera! Lottiamo tutti insieme, con forza e coraggio, per la nostra salvezza!”

Con queste parole il re incitò il popolo all’amore, alla fede, alla speranza: sono armi potenti e procurano sollievo e gioia. Così, il figlio del gigante Nevroth abbandonò la selvaggina e, anziché andare a caccia di bestie selvatiche, uscì ad abbattere le sue passioni. Al posto delle belve, catturò i feroci peccati; lasciando perdere gli animali della selva, lottò contro il peccato che aveva dentro di sé. Scese dalla sua sontuosa carrozza; si aggirò a piedi per tutta la città; chiamò tutti a penitenza; attraversò Ninevì da capo a fondo e s’adoperò per ripulirla dall’immondizia del peccato

Giona vide l’incredibile cambiamento: stupì che i Nineviti si fossero pentiti più rapidamente degli Israeliti. Vide che i figli di Chanaan erano giustificati per fede, mentre i figli di Abramo tradivano Dio. Vide che Ninevì si pentiva amaramente, mentre Sion si prostituiva freneticamente. Vide i peccatori di Ninevì rinsavire, e le figlie di Giacobbe darsi alla perdizione. Vide che a Ninevì i ladri proclamavano la verità, mentre in Sion falsi profeti, con l’inganno, trascinavano il popolo verso l’idolatria. A Ninevì abbattevano pubblicamente le statue, e a Gerusalemme di nascosto le adoravano. Ninevì diventava un tempio di Dio e a Gerusalemme il Tempio si era trasformata in un covo di briganti.

Giona vide che i Nineviti avevano messo cervello ed erano più timorati di Dio. Con le sue minacce egli aveva tolto la speranza, ma il digiuno li aveva rinforzati e aveva promesso la vita. Il profeta vide la penitenza, e temette che la sua predicazione dovesse risultare falsa. Egli contava i giorni e le notti prima della catastrofe, ma i Nineviti esaminavano piuttosto i loro peccati, trovandosi tremanti davanti alle fauci, alle porte dell’ade. Aspettavano la giusta collera di Dio, ma non smettevano di sperare nella sua sconfinata misericordia. Erano convinti che Dio è di grande misericordia, e spande il suo amore e la sua misericordia su chi si converte. Sapevano che il profeta è duro, ma che Dio è un amico; abbandonavano perciò la durezza e si rifugiavano nel Misericordioso. Egli agita il suo bastone per intimorire, non per spaccare la testa; per correggere, non per ammazzare. Continuavano quindi a digiunare e a pregare senza sosta.

Nei loro occhi non si asciugano mai le lacrime di pentimento. La lingua mai si stanca d’impetrare la misericordia divina. Passano dalla penitenza al digiuno, dal digiuno alla purificazione e alla saggezza. La grazia di Dio vide tutto, si mosse a compassione dei Nineviti e inviò su di loro la vivificante pioggia del suo affetto. Il Signore, che è filantropo, buono, ricco di misericordia, non vuole la morte del peccatore ma il suo ritorno, la sua conversione, la sua salvezza.

E venne il giorno della totale distruzione. La città è colma di pianto. La polvere delle strade è impastata da un fiume di lacrime. Il babbo desta il figlioletto, per piangere insieme la loro amara morte. I vecchi e le vecchie vanno a piangere tra le tombe, cercando un morto che seppellisse i morti. Le grida di lutto arrivano al cielo. Ognuno nell’angoscia chiede all’altro: “A che ora Dio ha deciso di farci scendere tutti insieme all’ade? Come arriverà su di noi la morte?”

Comincia a farsi sera. I Nineviti stanno immobili al loro posto di morte, tenendosi per mano, piangendo uno sull’altro. Si chiedono in quale istante sentiranno risuonare la voce dello sterminio. Sono certi che quella sera la città sarà distrutta.

Strano! Arriva la sera e ancora nulla hanno sentito. Pensano allora che saranno consegnati al caos nella notte. Ma giunge la notte, e niente! Aspettano: certamente all’alba saranno perduti. Arriva l’alba, ma non arriva la sciagura. Proprio quando credevano che non sarebbero rimasti più in vita, la speranza si trasforma in certezza, e la certezza in gioia. La cupa atmosfera si fa luminosa e festante. Tutti insieme, con parenti e amici, non sanno come esprimere la loro gioia, come dare gloria a Dio che li ha risparmiati, che ha accettato il loro pentimento.

Giona stava a seguire gli avvenimenti da lontano, temendo di essere accusato di falso: ma la sua profezia non si era avverata: perché il buon Dio, vedendo le lacrime di pentimento dei Nineviti, ebbe pietà e fece rivivere la città morta; erano infatti come morti, aspettando quella fulminea e atroce morte. Ora li rendeva viventi la speranza e la gioia: avevano visto che l’ira di Dio s’era mutata in misericordia. Caddero in ginocchio pregando, le mani levate al cielo per rendere grazie a Dio che in modo inatteso li aveva salvati dalla morte e nella sua misericordia aveva loro donato la vita.

Giona invece, incredibilmente, era afflitto: se i Nineviti erano salvi, lui era un bugiardo! Vedendolo così, tutti gli danno pacche amichevoli sulle spalle, dicendo: “Non tormentarti, Giona! Sta’ lieto: grazie a te abbiamo scoperto una vita nuova; grazie a te abbiamo conosciuto Dio, nostro creatore e padre. Non temere: non ti sei dimostrato bugiardo, perché davvero è stata distrutta la nostra malvagità ed è stata edificata la nostra fede. Con le tue ammonizioni abbiamo trovato il pentimento e nel tesoro della misericordia di Dio tutto quel che serve alla nostra salvezza. Giona, che guadagno avresti avuto dalla distruzione della nostra città, se fossimo morti tutti? Che vantaggio avresti avuto, figlio d’Amathì, se l’ade ci avesse inghiottito tutti? Sei afflitto proprio tu che ci hai guarito dal male? Noi ti ringraziamo come benefattore! Perché sei abbattuto? Hai faticato perché la città non andasse a perdizione, ma giungesse alla conoscenza di Dio! Perché sei dispiaciuto? La penitenza ci ha salvato! Ora tu devi essere incoronato come vincitore; devi essere traboccante di gioia: hai fatto gioire gli angeli in cielo e anche tu in terra devi gioire, perché Dio stesso gioisce in noi!”.