Un noto erudito calabrese ama descrivere le chiese romano-ortodosse dell’Italia meridionale come “umili”, “povere”, “piccole” e “nascoste nell’ambiente circostante”. Tutto sta nell’intendersi sul significato delle parole. Per esempio, “nascosta nell’ambiente circostante” vuol dire una chiesa che – per posizione, decorazioni e struttura - si distingue nettamente a chilometri e chilometri di distanza, come la Cattolica di Stilo. “Piccola”, vuol dire una chiesa – come la Cattedrale di Gerace – in cui (calcolando anche la cripta), vi entrerebbe un condominio d’un centinaio d’appartamenti, oppure come la Cattedrale di Siracusa (tre navate separate da 36 colonne). “Povera”, vuol dire una chiesa – come la Theotokos di Terreti o il Patirion di Rossano – che ha persino il pavimento a mosaico. “Umile”, vuol dire una chiesa – come la Cattedrale di Agrigento – di circa 700 m2 e 34 colonne, o la Theotokos di Crotone (che in origine aveva il tetto in marmi pregiati e una colonna d’oro massiccio).
Il trucco, che permette di descrivere la Calabria “bizantina” come una società di trogloditi, consiste
a. nell’escludere gli edifici di culto che oggi sono ridotti a meri reperti archeologici (e presentati come templi pagani, saltando sempre a piè pari il loro plurisecolare impiego come chiese cristiane);
b. nell’escludere gli edifici di culto che oggi sono usati dai Latini (la Cattedrale di Gerace o di Siracusa, per esempio);
c. nell’escludere gli edifici di culto volutamente distrutti, dal tempo dell’invasione dei Francogermanici sino ai nostri giorni (la Theotokos di Terreti);
limitandosi quindi a considerare solo le tracce di edifici di culto rurali o di cappelle forse private.
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