martedì 23 giugno 2009

Catechesi - una esperienza

Sin da settembre a tutte le celebrazioni abbiamo avvisato, anche con cartelli studiati per attrarre l’attenzione dei piccoli, che domenica 12 ottobre (domenica IV di Luca, in cui si legge la parabola del Seminatore) sarebbe iniziato il Catechismo. Si sono iscritti 7 bambini in età scolare, che hanno partecipato abbastanza assiduamente.

Gli incontri si sono svolti ogni sabato con questo semplice schema: giochi nell’attesa che arrivassero più o meno tutti; spiegazione dell’icona del giorno; prove di un canto; partecipazione al Vespro (impegnando i bambini – secondo le loro capacità – a leggere qualcosa o nel servizio liturgico); giochi nell’attesa che tutti i genitori venissero a riprendere i figli. Con l’arrivo del Triodio si è aggiunta la spiegazione (pochi minuti), sabato dopo sabato, di una Beatitudine e poi di un Comandamento.

Il 25 aprile, il 1 maggio e il 2 giugno (approfittando della vacanza) abbiamo organizzato una intera giornata in montagna (in una base degli scout e con la loro collaborazione).

Sabato 6 giugno, vigilia di Pentecoste, due bambini (8 e 9 anni) hanno fatto la “Prima confessione” e la domenica, dopo la comunione alla Liturgia, sono stati al centro di una piccola festa – con un regalino pure a tutti gli altri bambini del Catechismo – alla quale potevano invitare i loro amichetti cattolici.

Possiamo dire d’aver ottenuto pienamente gli scopi prefissi:

1. dare ai nostri bambini una qualche istruzione religiosa ortodossa;

2. farli diventare amici tra loro;

3. avvicinare tra loro le famiglie (1 italiano-greca; 2 rumene; 1 italiano-rumena; 3 italiano-ucraina);

4. dare qualche ora di “libertà” alle stesse famiglie (!);

5. non privare i nostri bambini, che vivono in un ambiente a stragrande maggioranza cattolico, dei momenti d’aggregazione (e festa) di cui godono tutti gli altri loro coetanei.

Sacramenti

La parola sacramento significa un “qualcosa di giuridicamente sacro”, quale il servizio militare: sebbene sia stato con autorevolezza usato dal beato Agostino, questo termine non rende pienamente il significato della parola greca mistirion, e perciò anche nella cristianità occidentale ormai da tempo si preferisce parlare di Misteri (per quanto l’italiano mistero nell’uso comune sia incomprensibile, enigma o rebus).

Per Mistero si intese innanzi tutto un segreto da rivelare solo agli iniziati; in seguito (Platone), la iniziazione alla verità più profonda della filosofia; in ambiente greco-giudaico si intese poi una qualche realtà celeste scorta da profeti ma da rivelare solo alla fine dei tempi; con san Paolo, infine, l’intera economia della salvezza: nascosta dai secoli, rivelata in Cristo, vissuta nella Chiesa, risplendente nella parusia del Signore. Il Sacramento principale, il Mistero per eccellenza è dunque Cristo, e la Chiesa che è il suo corpo.

Per evitare una comprensione soltanto giuridica o ritualistica (o, peggio, magica) potremmo perciò dire che ogni Mistero è un modo in cui noi ci uniamo perfettamente a Cristo. Per esempio: la Confessione è il modo in cui, con il perdono, torniamo a far parte pienamente della Chiesa, che è il Corpo di Cristo, dalla quale ci eravamo separati \ allontanati con il peccato; il Matrimonio e il Sacerdozio sono i modi in cui noi partecipiamo all’opera creatrice e salvatrice; ecc. Oppure potremmo dire che ogni Mistero è un fatto, un avvenimento che trasforma la nostra vita: moriamo immersi nell’acqua e risorgiamo a una nuova vita, così che non siamo più noi a vivere, ma è Cristo che vive in noi; mangiando il Corpo di Cristo e bevendo il suo Sangue, il nostro corpo mortale si nutre d’immortalità trasformandosi man mano; “bombardati” dalle divine e increate Energie, da uomini che siamo, tendiamo a diventare dèi, ecc.

Va notato che la cristianità occidentale ha ormai abbandonato da tempo la catechesi settenaria e, per esempio, parla di un unico Sacramento o Mistero dell’iniziazione cristiana (anche se - di fatto – Immersione, Crismazione e Comunione avvengono in tre tempi separati), con la curiosa conseguenza che detta ripartizione rigidamente settenaria sopravvive solo tra alcuni teologi ortodossi ancora influenzati dalle (vecchie) dottrine dei Latini.

Concordanza biblica

Si indica tra parentesi quadre l’edizione in lingua italiana e – quando non esiste – il corrispondente libro delle Bibbie in uso nella cristianità occidentale, anche se il testo può essere a volte molto differente.

Genesi = [in Il Pentateuco, edizioni Dehoniane]

Esodo = [idem]

Levitico = [idem]

Numeri = [idem]

Deuteronomio = [idem]

Gesù di Navì = Giosuè

Giudici = Giudici

Ruth = Ruth

I Regni = I Samuele

II Regni = II Samuele

III Regni = I dei Re

IV Regni = II dei Re

I Paralipomeni = I Cronache

II Paralipomeni = II Cronache

I Esdra = -

II Esdra = Esdra

Neemia = Neemia

Tovit = Tobia

Giuditta = Giuditta

Esther = Ester

I Maccabei = I Maccabei

II Maccabei = II Maccabei

III Maccabei = -

(IV Maccabei) = -

Salmi = [Il Salterio della Tradizione, edizioni Gribaudi]

Proverbi di Solomone = Proverbi

Ecclesiaste = Qoelet

Cantico = Cantico dei cantici

Sapienza di Solomone = Sapienza

Sapienza di Sirach = Siracide

Osea = Osea

Amos = Amos

Michea = Michea

Gioele = Gioele

Avdia = Abdia

Giona = Giona

Naum = Naum

Avvacum = Abbacum

Sofonia = Sofonia

Aggheo = Aggeo

Zacharia = Zaccaria

Malachia = Malachia

Isaia = Isaia

Geremia = Geremia

Varuch = Baruch

Pianti di Geremia = Lamentazioni di Geremia

Lettera di Geremia = -

Ezechiele = Ezechiele

Daniele =Daniele

Per quanto riguarda Vangeli, Atti, Epistole e Apocalisse, si può usare una qualsiasi traduzione interlineare (per esempio, quella di A. Bigarelli per il Nuovo Testamento, a cura di P. Beretta per Edizioni San Paolo, che in nota spesso tiene conto anche del testo liturgico).

Si benedicono \ indicano i Doni?

La risposta al quesito liturgico non è priva di conseguenze sul piano teologico.

Il sacerdote dovrebbe pronunciare l’ànafora nella tipica posizione “dell’orante” (lodevolmente conservata dai Latini). I manoscritti attestano che, all’anafora, anche i fedeli stavano nella stessa posizione, secondo espliciti inviti del diacono (Levate in alto le mani) o del sacerdote (Levate in alto le mani e il cuore), ma non hanno alcuna “benedizione” o “designazione” dei Doni.

Una prima distinzione - per così dire, tipografica – del racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia dal resto dell’anafora appare quando il canto del Santo comincia a coprire la voce del celebrante durante la preghiera. E come se questi dicesse al coro: Almeno a questo punto, smettetela… Appare anche – tanto in Occidente che in Oriente – una certa “drammatizzazione”, probabilmente allo stesso scopo di dare un segno al coro, e così – per esempio – in alcuni manoscritti della Liturgia di Giacomo si dice che il sacerdote prende il pane e dice: Prendete… prende il calice e dice: Bevetene tutti…

Molto più tardi, alcuni testi editi in Occidente spiegano che – al racconto dell’Istituzione – il diacono indica con l’orario i Doni, finché si finisce col trovare la rubrica: il diacono, insieme al sacerdote, indica… Questa rubrica è passata in quasi tutti i libri a stampa - anche in Edizioni ortodosse - che forse sono ancor oggi in uso; fortunatamente, è scomparsa nell’ultima edizione ufficiale dello Ieratikon (Apostolikì Dhiakonìa, Athina, 2002). Dopo il 17° secolo infine, ma solo in testi per l’uso degli Uniati, appare la rubrica relativa a una “benedizione”, un segno di croce che il sacerdote dovrebbe fare mentre dice lo benedisse…, rubrica che non pare sia mai stata recepita nel mondo ortodosso.

domenica 21 giugno 2009

Gli edifici sacri

“I primi cristiani si riunivano nelle catacombe”: è una invenzione di romanzieri cattolici polacchi del XIX secolo, consacrata nel XX secolo da Hollywood. Gli ambienti adattati al culto sono tutti dell’epoca in cui alcune catacombe iniziarono a essere mèta di pellegrinaggi.

“I primi cristiani si riunivano nelle case private”: non esiste alcuna testimonianza a proposito. L’edificio del genere più antico (ante 256) – a Dura Europos – si presenta già come una grande sala ad hoc, con vasca battesimale sormontata da baldacchino, decorazioni parietali, ecc.

“I primi cristiani usarono le basiliche romane”: non è stata sinora individuata alcuna basilica civile trasformata in luogo di culto (del resto, la vita doveva pur continuare).

La dominazione araba

Al 636 risale la conquista di Gerusalemme, e al 698 quella di Tunisi; attorno all’anno 700 la conquista islamica dell’Ifriqiya è completata; tutto l’esarcato romano d’Africa è in mano araba. Eppure, proprio in quegli anni san Gregorio d’Agrigento si reca in pellegrinaggio a Cartagine, per venerare le reliquie di san Giuliano, e poi a Tripoli di Siria, per visitare il Martyrion di San Leonzio, e infine a Gerusalemme, dove sarà ordinato dal patriarca Macario. Eppure, attorno all’845 sant’Elia il Nuovo (di Enna) trova a Tunisi un vescovo (Pantoleo), sacerdoti e chiese. Eppure, è della fine del X secolo l’africano Calendario latino (!) conservato al Sinai. Eppure, è del 1076 una iscrizione cristiana (in latino!) trovata presso Sfax. Eppure, ancora della fine dell’XI secolo sono le iscrizioni cristiane ritrovate a En Ngila, Ain Zara, ecc.

I primi Saraceni e Berberi misero piede in Sicilia nell’827 e - nonostante ripetuti tentativi dell’Esercito romano di contrastarne l’avanzare – solo nel 962 riuscirono a presentarsi nella Regione di Demenna (la Sicilia centrale-tirrenica), ma nel 1038 il grande generale Giorgio Maniakis liberava Siracusa, la capitale dell’Isola.

Saraceni e Berberi arabizzarono senza dubbio la popolazione (cioè: la sottoposero al tributo dovuto dagli “infedeli”), ma in quella manciata d’anni avrebbero avuto il tempo, come affermano tanti sedicenti storici, di cancellare tutti i monasteri e qualsiasi altra presenza cristiana e d’impiantare – addirittura una Civiltà araba? Ma mi faccia il piacere, diceva Totò.

I santi "negri"

Non sono poche le immagini (per lo più statue) di Madonne nere: di fattura dozzinale, in genere realizzate in legno di castagno o comunque scuro già di suo, la cui vernice si è naturalmente ossidata nel tempo e anche per il depositarsi del fumo resinoso dell’incenso e del nerofumo di candele (chissà quante di sego) e di lampade (alimentate da olio di certo non raffinato ma anche da grassi vari). Alla fine del 19° secolo appaiono invece immagini di santi volutamente rappresentati come neri (anzi proprio negri); primo tra tutti, san Calogero del Monte Cranio e, poi, san Filippo il Cacciaspiriti.

Tale scelta fu dettata da un marchiano errore. Conoscendo poco o niente il greco e ancor meno la paleografia, alcuni storici locali, anziché leggere che san Calogero era di CHALKIDHON (Calcedonia), lessero che era di KARCHIDHON (Cartagine), e ne dedussero che era africano: da qui, a pensare che era neronegro, il passo è breve. Confondendo poi san Calogero con san Filippo, anche questo santo – alla fine del 19° secolo – cominciò a essere raffigurato come neronegro. La stessa sorte toccò – sempre tra la fine del 19° secolo e la prima metà del 20° - ad altri, come san Cipriano (questo sì di Cartagine), e persino al beato Agostino di Tagaste.

Su tale scelta iconografica influì certamente la massiccia attività missionaria della cristianità occidentale nell’Africa nera del 19° secolo, ma forse ancor di più influì la febbre del colonialismo che - proprio alla fine del 19° secolo - colpì la neonata Italia (con Governi alla ricerca d’un “posto al sole” dove sbarazzarsi dei briganti e dei cafoni del Sud). Anche negli più sperduti paesi della Calabria e della Sicilia, la Faccetta nera del santo patrono svolgeva così una subliminale attività promozionale: Faccetta nera… quando saremo vicini a te, noi ti daremo un altro Duce e un altro Re…

L'iconoclasmo

Nel decennio 730 \ 740 avvennero due fatti di straordinaria importanza: Leone III s’impossessò dell’Italia meridionale e, guarda caso, proprio in Italia meridionale si rifugiarono gli ortodossi perseguitati dall’eretico imperatore: a migliaia di migliaia; così tanti che in un batter d’occhio tutta intera la popolazione dell’Italia meridionale (dalla Sardegna alla Puglia, dal Garigliano a Lampedusa) abbandonò il “rito latino” per assumere il “rito greco”, abbandonò l’uso della lingua latina e si mise a parlare in greco. O almeno così si crede, neanche fosse un dogma di fede.. Tuttavia:

1. non si può parlare di annessione dell’Italia meridionale all’Impero romano, perché l’Italia tutta faceva parte dell’Impero romano: per esempio, lo stesso papa Gregorio III (siro), pur opponendosi all’imperatore Leone III (siro), continuò regolarmente a versare le tasse a Nuova Roma;

2. non esiste alcun documento o testimonianza a proposito: né di fonte greca, né di fonte latina, né di fonte araba;

3. nell’VIII secolo non esiste ancora un “rito latino” molto diverso da un “rito greco”, né una netta distinzione nell’uso della lingua greca e della lingua latina: il successore di Gregorio III, il calabrese papa Zaccaria, è di lingua greca così come poi (768) è di lingua greca il siracusano Stefano IV;

4. è ridicolo pensare che gli ortodossi perseguitati a Costantinopoli o nel Peloponneso si siano rifugiati in Calabria o in Sicilia, cadendo dalla padella nella brace: non solo queste regioni erano pur sempre sottoposte all’eretico Leone III (ed esistono ampie prove che anche in Italia meridionale infuriasse l’iconoclasmo), ma erano battute dai Saraceni già almeno dal 668 e, comunque, non esiste alcun documento (latino, greco, arabo) che attesti un tale esodo.

In verità, pare che Leone III abbia esentato dalle tasse un terzo della popolazione dell’Italia meridionale (già tartassata dai Langobardi, dai Saraceni e dai Berberi), e pare che abbia compensato il minore gettito fiscale con quanto sino allora destinato al mantenimento del clero delle basiliche dei santi Pietro e Paolo in Roma Antica (una sorta di otto per mille). Ma del presunto “esproprio” d’un Patrimonio di San Pietro si sa solo grazie a una testimonianza 1) confusa, poco chiara; 2) di molto posteriore ai fatti, e 3) proveniente da una fonte inattendibile perché a priori ostile a Leone III.

Tutto il delirio sull’afflusso di profughi in età iconoclasta nasce in realtà nel 16°\17° secolo, quando gli apologeti della Controriforma provarono a convincere

a. che l’Italia meridionale fosse stata sempre latina e sempre sottoposta al Papa: se per almeno un tot di secoli ciò non appare vero, ciò deve per forza essere stato causato da una Dominazione straniera (bizantina);

b. che la presenza di tradizioni ma soprattutto di reliquie e icone in Italia meridionale non è da attribuire alla naturale appartenenza dell’Italia meridionale al “mondo ortodosso”, ma è frutto di importazione (durante appunto l’Età iconoclasta).

In verità pare (non è del tutto certo) che molti abitanti di Patrasso e del Peloponneso siano sfollati in Italia meridionale a causa degli Avari (568?); certo però è solo l’arrivo di profughi dopo il 1453, cioè subito dopo la caduta dell’Impero romano.

Leonzio di Africo

Nel Sinassario detto Lipsiense 186, portato a termine nel 1172 dallo scriba Basilio di Reggio, in una aggiunta a margine e quindi posteriore a tale data, appare la menzione di un santo monaco a nome Leonzio, di Africo (RC) o lì venerato. E’ certo quindi che il santo visse tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII: ogni altra notizia “storica” su di lui è tratta però da canzoncine popolari, nessuna delle quali pare anteriore al XVII secolo.

Il santo (5 maggio) è abbastanza popolare nel versante ionico della provincia di Reggio, in particolare nella Bovesìa; le sue reliquie sono parte in Africo Nuovo e parte in Bova.

Luca Casali

In epoca sconosciuta (sono state proposte varie date, tra VI e XII secolo) sarebbe vissuto un santo a nome Luca, nativo del casale di Nicosia (perciò detto L. Casali o Casalio) in provincia di Enna, monaco “greco” in San Filippo di Agira (EN), le cui reliquie sarebbero state trovate nel 1596, quando ne rinasce (?) il culto, con festa al 2 marzo.

Tutte le (poche) notizie su questo personaggio sono state trasmesse dal solo (e solito) O. Caetani, che sostiene d’averle lette in una Vita (irreperibile) scritta in un latino che lo stesso Caetani chiama barbarico, notizie che però sono fedelissima trascrizione delle leggende che già nel XIII secolo circolavano sull’anglosassone Bēda, detto il Venerabile.

martedì 16 giugno 2009

Le epistole di Paolo

Gli apostoli credono che la Chiesa è il Corpo di Cristo: come Cristo è Theanthropos, così la Chiesa è teandrica, una realtà divino-umana. Gli apostoli annunciano così la risurrezione del Cristo, adattandosi alla realtà umana del loro tempo. Il principio di adattamento che ha retto storicamente la Chiesa, è così un metodo, un criterio “apostolico”. E’ interessante, a proposito, vedere che l’apostolo Paolo indirizza le sue epistole ai cristiani di

COLOSSI tappa per i mercanti che dalle coste del Mediterraneo s’inoltrano in Anatolia

CORINTO capitale della Provincia d’Acaia; tra i principali porti del Mediterraneo

EFESO capitale della Provincia d’Asia

GALAZIA vastissima Provincia dell’altopiano anatolico

FILIPPI prima tappa per chi dall’Asia approda in Europa, sulla Via Egnatia

ROMA capitale della Provincia d’Italia

TESSALONICA capitale della Provincia di Macedonia

E’ evidente come Paolo si adatti alle circoscrizioni amministrative, attento a una massima diffusione dei suoi scritti: per esempio, inviare una lettera alla Chiesa di Tessalonica vuol dire che una copia rapidamente giungerà a tutte le Chiese della Macedonia, inviare una lettera alla Chiesa di Filippi vuol dire che copie giungeranno in breve anche alle più sperdute comunità (nel caso, da Filippi si va facilmente a Bisanzio e da lì, tramite la via della seta, ci si può spingere sino in Cina). Come dire che Paolo abbia assegnato alle Chiese di Efeso, Roma, Tessalonica, ecc. un Primato nelle comunicazioni postali - per così dire - rispetto alle periferiche Chiese delle rispettive Province.

I monasteri

Gli studiosi occidentali pensano che i monasteri romano-ortodossi siano a immagine e somiglianza dei conventi latini, consistano cioè in un edificio, più o meno grande, collegato a una chiesa: è così che gli stessi eruditi possono poi ubicare in questa o quella località un dato monastero, segnalandone con teutonica precisione – al millimetro - longitudine, latitudine e altitudine. Purtroppo per loro, i monasteri ortodossi non somigliavano e non somigliano ai conventi cittadini dei Frati Domenicani, Francescani ecc., e neppure ai “monasteri” extra-urbani dei Benedettini, Certosini ecc. Somigliavano e somigliano a paesi, più o meno grandi, con più edifici, più chiese (almeno due: il Katholikon e quella del cimitero) e con “frazioni” (metochia), più o meno lontane dal “centro” e ciascuna delle quali con almeno una chiesa. Ne segue che:

1. un ipotetico Monastero di Sant’Eufemia non va ricercato nelle vicinanze dell’attuale Sant’Eufemia: può darsi che in origine tutto il paese fosse il Monastero;

2. è inutile, per esempio, cercare il Monastero dei Santi Elia e Filareto a Palmi oppure a Seminara: può darsi che fosse sparso tra Palmi e Seminara, e che i ruderi che oggi vengono indicati - a Palmi o a Seminara – come il Monastero, in realtà corrispondano solo a uno degli edifici dello stesso monastero.

Nel primo caso, potrebbe darsi che le varie strutture d’un ipotetico monastero siano state occupate da “civili” man mano che esse furono abbandonate dai monaci, mantenendone il nome (vedi, per esempio, i vari Monastir, Metochi, Scete, Monasterace… e, chi sa, quei centri come San Lorenzo, San Fantino, Sant’Ilario…).

Nel secondo caso: per esempio, dalla Vita di san Cipriano di Reggio (circa 1140\1240) sappiamo che il Monastero di San Nicola di Calamizzi aveva una chiesa principale a tre navate, uno skevofilakion (sacrestia \ biblioteca), una torre (con la scala a chiocciola), tre palazzi a due piani, una trapeza (refettorio) per i pellegrini \ visitatori e una trapeza per i monaci (decorata con grande bellezza) con nelle vicinanze almeno una cucina e una dispensa, nonché grandi e confortevoli abitazioni (kellià) dei monaci. Dalla stessa Vita sappiamo che Calamizzi aveva un numero imprecisato di frazioni (metochia), tutte dotate di chiese e cappelle. Altro esempio: il Monastero del Salvatore di Messina occupava tutta la lingua di terra che forma il porto, probabilmente dall’incrocio tra viale San Martino e via Cannizzaro in poi, e certamente aveva – oltre alla chiesa principale, dedicata alla Tuttasanta – almeno altre due chiese, una dedicata a san Nicola e una a san Giacinto.

I due esempi si riferiscono sempre a cenobi: cioè a istituzioni in cui i monaci fanno appunto vita comune (tutti insieme partecipano alle ufficiature e consumano i pasti). Ma il mondo ortodosso conosceva e conosce anche altri tipi di vita monastica: in questi casi, non bisogna pensare più a un paese (e sue frazioni) ma a una superficie territoriale ancora più estesa, per esempio al vastissimo territorio del Comune di Cardeto in provincia di Reggio, con decine di frazioni distanti dal “centro” davvero tanti chilometri.

Del resto, quando si dice “Reggio Calabria”, bisogna sapere se si sta parlando del Palazzo Comunale, del centro, della periferia, delle frazioni, dell’intero territorio comunale (da Villa a Lazzaro, dal Lungomare a Gambarie d’Aspromonte) o addirittura dell’intero territorio della Provincia.

Architettura bizantina in Calabria

Un noto erudito calabrese ama descrivere le chiese romano-ortodosse dell’Italia meridionale come “umili”, “povere”, “piccole” e “nascoste nell’ambiente circostante”. Tutto sta nell’intendersi sul significato delle parole. Per esempio, “nascosta nell’ambiente circostante” vuol dire una chiesa che – per posizione, decorazioni e struttura - si distingue nettamente a chilometri e chilometri di distanza, come la Cattolica di Stilo. “Piccola”, vuol dire una chiesa – come la Cattedrale di Gerace – in cui (calcolando anche la cripta), vi entrerebbe un condominio d’un centinaio d’appartamenti, oppure come la Cattedrale di Siracusa (tre navate separate da 36 colonne). “Povera”, vuol dire una chiesa – come la Theotokos di Terreti o il Patirion di Rossano – che ha persino il pavimento a mosaico. “Umile”, vuol dire una chiesa – come la Cattedrale di Agrigento – di circa 700 m2 e 34 colonne, o la Theotokos di Crotone (che in origine aveva il tetto in marmi pregiati e una colonna d’oro massiccio).

Il trucco, che permette di descrivere la Calabria “bizantina” come una società di trogloditi, consiste

a. nell’escludere gli edifici di culto che oggi sono ridotti a meri reperti archeologici (e presentati come templi pagani, saltando sempre a piè pari il loro plurisecolare impiego come chiese cristiane);

b. nell’escludere gli edifici di culto che oggi sono usati dai Latini (la Cattedrale di Gerace o di Siracusa, per esempio);

c. nell’escludere gli edifici di culto volutamente distrutti, dal tempo dell’invasione dei Francogermanici sino ai nostri giorni (la Theotokos di Terreti);

limitandosi quindi a considerare solo le tracce di edifici di culto rurali o di cappelle forse private.

Francocrazia \ Turcocrazia

I Franco-germanici conquistarono Cipro nel 1192. Le 14 diocesi che formavano la Chiesa di Cipro furono man mano soppresse. Nel 1260 - con la bolla Chipria di papa Alessandro IV - fu soppressa anche l’intera Chiesa di Cipro, autocefala sin dai tempi del III Concilio Ecumenico (Efeso, 431), e nell’isola furono create 4 circoscrizioni ecclesiastiche latine: all’autorità dei presuli latini furono sottoposte tutte le comunità ortodosse (parrocchie e monasteri), vale a dire – tranne gli occupanti – la totalità della popolazione. La Chiesa ortodossa fu ricostituita - e la popolazione riacquistò la libertà religiosa - solo dopo più di 350 anni: nel 1571, quando i Turchi conquistarono Cipro.

Il conte o re Ruggero e i Diplomi normanni

Molte istituzioni e molti monumenti dell’Italia meridionale sono datati sulla base di Diplomi normanni, cioè documenti pubblici, attribuiti agli invasori e poi dominatori, e in particolare a Ruggero d’Altavilla. Non si tiene però conto che:

1. I Diplomi originali – o, meglio: che potrebbero essere originali - sono pochissimi (5\6?): tutti gli altri sono copie dal 14° secolo in poi (ce ne sono addirittura del 18° secolo);

2. nella quasi totalità dei casi, nessuna delle copie suddette è originale (!), ma copie di copie, e per di più conosciute solo tramite transunti del 17\18° secolo o presunte trascrizioni (autocertificate: per esempio, da D. Martire);

3. tranne qualche decina di copie ancor oggi conservate all’Archivio del Collegio Greco di Roma, quasi sempre si ignora dove mai gli Autori che li citano abbiano visto i Diplomi in questione.

Nessuno dei Diplomi (presunti originali o copie che siano) è pienamente soddisfacente, in quanto

a. spesso chiamano re Ruggero in anni in cui era conte (o viceversa);

b. non hanno quasi mai “firme”;

c. non hanno mai sigilli, “timbri”, (e neppure tracce che attestino l’esistenza di qualche sigillo)

d. quasi mai sono correttamente datati: parlano di un giovedì 4 aprile 1081, mentre quell’anno era domenica; parlano di un 1081 – indizione 8a anziché 4a; indicano come località Palermo mentre Ruggero era di sicuro a Mileto, ecc.

Gli “errori” sono così tali e così tanti che alcuni Autori – anche moderni - spesso sono portati a “correggere” di propria iniziativa, pur di non essere costretti a rigettare tali Diplomi come falsi o, meglio, creati verso la fine del XIII secolo e dopo a fini catastali: i monasteri, chiamati a dimostrare a quale titolo possedessero questa vigna o quel bosco, erano costretti a presentare una qualche pezza d’appoggio (va da sé, emanata da una qualche Autorità “legittima” agli occhi degli Angioini), confezionando a tale fine persino Vite di santi (vedi, per esempio, le Vite di san Giovanni Theristì).

Documenti falsi, ma funzionali alla tesi d’una sostanziale tolleranza se non proprio benevolenza dei Normanni nei confronti della popolazione romano-ortodossa dell’Italia Meridionale: a proposito, il documento meno studiato e citato è, infatti, il famigerato Concordato di Melfi, questo sì autentico.

La bizantinizzazione dell'Italia meridionale

La bizantinizzazione dell’Italia meridionale è una pura invenzione degli storici del ‘600 (e posteriori) i quali volevano spiegarsi e dovevano spiegare come mai una vasta parte dell’Occidente – che si voleva sottomessa al Papato tridentino e a Sovrani dello stesso vassalli – fosse stata (e fosse ancora in gran parte, nel XVI secolo) di lingua greca e di tradizione ortodossa. Furono allora inventati tre luoghi comuni, che disgraziatamente si sono radicati nell’immaginario collettivo:

a. che in Italia meridionale sia esistito un monachesimo latino e precisamente benedettino sin dal VI secolo. Il luogo comune è basato sullo pseudo-Epistolario gregoriano e su due falsi, prodotti a Montecassino negli anni 1098\1159 (la Cronaca di Leone di Ostia e la Vita sancti Placidi di Pietro Diacono);

b. che per quasi 120 anni (tra 726 e 843) decine e decine di migliaia di monaci siano emigrati in Italia meridionale dall’Oriente per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste. A proposito non esiste alcuna testimonianza coeva: né di fonte greca, né latina, né araba, mentre invece esistono fonti le quali attestano che in Puglia, in Calabria, in Sicilia l’iconoclasmo infuriasse altrettanto che a Costantinopoli;

c. che in un giorno sconosciuto d’un anno imprecisato (tra 717 e 741), l’imperatore Leone III il Siro abbia costretto l’intera popolazione dell’Italia meridionale a cambiare lingua, per passare tutti e immediatamente dalla lingua latina alla lingua greca, e a cambiare “rito”, per passare tutti e immediatamente dal “rito latino” al “rito greco”. A proposito non esiste alcuna testimonianza coeva, né greca, né latina, né araba, e per di più, all’epoca, neppure si immaginava l’esistenza di un “rito latino” e di un “rito greco”, anzi non esisteva proprio lo stesso concetto di “rito”.

lunedì 8 giugno 2009

Il rito dei Romani

secoli I \ IV Origine – con tracce di usi sinagogali - e sviluppo attorno ai grandi centri quali Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Milano, Aquileia, nonché a Roma e nelle Chiese dell’Africa.

secoli IV \ VIII I pellegrini diffondono ovunque usanze di Gerusalemme; da Egitto e Palestina si diffondono invece usi monastici. Notevole creatività dei centri gravitanti attorno ad Antiochia e primi influssi degli usi di Nuova Roma. Non è ancora possibile distinguere nettamente tra gli usi dei Romani di lingua greca e gli usi dei Romani di lingua latina oppure tra “riti latini” e “riti orientali”, ma solo tra “usi romani” (ortodossi) e, man mano, “usi barbarici” che si radicano tra gli ariani e semiariani del centro-nord Europa.

800 Secessione di alcune province occidentali dall’Impero Romano e conseguente diffusione degli “usi barbarici” nei territori dominati dai Francogermanici.

843 Trionfo definitivo sull’iconoclasmo e impulso missionario: le celebrazioni assumono un certo stile monastico, a scapito di usi “parrocchiali”. Tra i Romani più legati a Nuova Roma l’uso di composizioni poetiche fa pressoché scomparire il canto dei salmi. San Fozio fissa (863) il cànone pittorico tuttora seguito nella decorazione degli edifici di culto: tracce degli antichi cicli pittorici si conserveranno più a lungo in Italia meridionale, mentre nel centro-nord Italia, sotto dominio barbarico, non penetrano i cànoni del VII Concilio Ecumenico. Nei territori sotto dominio barbarico s’impongono man mano i moduli musicali dei Franchi (presentati come Canto gregoriano) e i loro usi liturgici (presentato come Rito Romano). Iniziano a notarsi vistose differenze tra il “rito dei romani” e gli usi “latini” di Roma Antica e delle altre Chiese nei regni barbarici.

1054 Scisma del Patriarcato di Roma Antica dai Patriarcati di Nuova Roma, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme.

1073 Elezione di Gregorio VII a papa di Roma Antica. Con la sua “Riforma” si accentua e diventa radicale la distinzione tra il “rito dei Romani” conservato dai Patriarcati di Nuova Roma, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme e i “riti latini” (franco germanici) introdotti nelle diocesi legate al Patriarcato di Roma Antica.

1204 La IV Crociata e la creazione di Stati latini causano una certa semplificazione di cerimonie che non è più agevole \ possibile compiere; introduzione d’usi latini (per esempio, la forma del pròsforo).

1453 Fine dell’Impero romano (nel 1461 cade anche Trapezunte). “Corruzione” dei libri liturgici: molti di quelli stampati poi in Occidente – tutti - saranno redatti sulla base di scelte operate da studiosi occidentali.

secolo XVII Inizia una massiccia latinizzazione della Russia e, poiché i Russi sono gli unici ortodossi liberi, molti usi (per esempio, il canto polifonico) finiscono per diffondersi tra tutti gli altri ortodossi, sotto dominio turco o delle Potenze occidentali. Basta entrare in una qualsiasi chiesa costruita in Grecia ancora nel XX secolo per accorgersi di quanto sia stato forte l’influsso russo (ma, in definitiva, latino): persino nell’arredo (tanto che a volte, il barocco giunto in Russia da Italia – Francia, è tuttora creduto da alcuni come arte “bizantina” oppure “ortodossa”).

Secolo XVIII Il movimento dei Collivades inizia a promuovere il rinnovamento religioso, sia nei territori sotto il dominio delle Potenze occidentali e in Russia, sia nei territori sotto dominio ottomano.

1893 Il “Congresso Eucaristico” di Gerusalemme voluto dal papa Leone XIII è all’origine di uno straordinario interesse per gli studi orientali, soprattutto in campo storico e liturgico, che porteranno un benefico influsso anche alla Chiesa ortodossa.

1965 Alla sua morte, Fotios Kontoglou lascia in eredità il rinnovamento da lui operato nell’iconografia, nella direzione del ricupero dell’autentica tradizione, libera dagli influssi occidentali penetrati in Russia e attraverso la Russia oppure venuta da zone, come Creta, un tempo sotto dominio occidentale.

oggi La rinascita dell’Athos e della vita monastica in genere, l’elevato livello culturale del clero greco, la creazione di Scuole di iconografia e di canto sacro in tutte le Metropoli e le accurate edizioni di testi liturgici della Apostoliki Dhiakonia della Chiesa di Grecia, hanno creato una nuova sensibilità liturgica che è quasi una vera “riforma”.