Pietro Moghila è il padre di tutte le deviazioni liturgiche (e quindi teologiche) che purtroppo sono tuttora diffuse in alcuni ambienti ortodossi. Nato nel 1596, militare nell’Esercito polacco, nel 1631 a Kiev fondò un Collegio sul modello delle istituzioni dei Gesuiti da lui conosciute durante gli studi in Europa (al Collegio Greco di Roma?). Nel 1640 pubblicò un Catechismo “ortodosso”, che riflette l’influsso del Catechismo del gesuita tedesco Pietro Kanis e nel 1646 – purtroppo – un Efchologhion del tutto influenzato dalla “teologia sacramentaria” post-tridentina e dove sono presenti persino riti semplicemente tradotti dal latino (e sino allora sconosciuti al mondo ortodosso). Le innovazioni di Moghila ebbero facile diffusione tra gli Slavi, in Transilvania, Valacchia, Moldavia e, in genere, nei territori più o meno influenzati dalle Potenze occidentali. Per paradosso, la Turcocrazia ha invece preservato il mondo greco da tante innovazioni (qualche traccia è stata espunta dai testi liturgici editi in questi ultimi anni dalla Apostoliki Dhiakonia). Tra le innovazioni moghiliane (cioè latine) si può citare, ad esempio, l’abitudine di accompagnare alcune preghiere con l’aspersione di “acqua santa” (e l’uso dello stesso “aspersorio”), lo scrupolo “gesuitico” di confessarsi subito prima di fare la comunione, la convinzione che l’Efcheleo è solo per i moribondi, lo stare in ginocchio anche nei tempi vietati, ecc.
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