A differenza di tutti gli altri Paesi del mondo, in Italia si usano molti e diversi Typikà. Per limitarci ai soli sacerdoti canonicamente operanti in Italia, vediamo che essi seguono:
1. gli usi descritti nell’Imerologhion di anno in anno pubblicato dalla Chiesa di Grecia, oppure
2. gli usi descritti nell’Imerologhion di anno in anno pubblicato dal Patriarcato di Costantinopoli, ma soprattutto
3. il Typikon che ogni sacerdote si è stampato in proprio, mettendo insieme cose viste durante una gita a Mosca e una vacanza a Mykonos, o navigando in Internet, o saltellando tra i vari canali satellitari.
Ognuno dei Typikà del terzo tipo ha un’autorità indiscussa, ha anzi una singolare caratteristica: ogni Typikon è più ortodosso di tutti gli altri, e infatti ogni singolo sacerdote garantisce che il proprio Typikon è precisamente quello “russo”, oppure che è d.o.c. “dell’Athos”, e così via. In verità, gli esperti discutono se gli usi del Club Mediterranée di Folegandros (isole Cicladi) praticati a Bolzano siano più autentici di quelli del Villaggio Valtur di Kohtlajärve (Finlandia) seguiti a Pantelleria: ma, si sa, gli esperti amano trastullarsi con problemi bizantini.
Il Rito italiano non è piattamente monotono: i paramenti sono similrussi, il Vespro è similbulgaro, il Mattutino similrumeno, i testi in similitaliano e così via. In verità, il Rito italiano è contraddistinto anche da uno sfarfallio di lingue: la prima ektenia si fa in slavo antico ravvivato da pronuncia siciliana, la seconda in serbo-calabrese, e così via: potrà capitare di sentire anche una arcana lingua che – potrà sembrar strano – a volte somiglia al greco.
L’unica difficoltà del Rito italiano è costituita dal calendario: ogni sacerdote di solito decide sul momento se usare il calendario giuliano o il gregoriano o l’etiopico o l’accadico-sumerico; i digiuni, però, in genere sono secondo antichi cànoni trasteverini.
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