Abūl-Kāsim ibn ‘Abd-Allāh, detto Muhammad (= il glorificato), Maometto, nacque il 20 aprile 570 alla Mecca, in una famiglia di mercanti della potente tribù araba dei Qurays. Sin da giovane, spostandosi con carovane di mercanti, ebbe modo di conoscere ebrei, cristiani ortodossi e cristiani eretici, monofisiti: si narra anzi che proprio uno di questi abbia predetto a Maometto il suo straordinario futuro. Attorno al 612 Maometto inizia a predicare l’Islām, cioè l’abbandono o sottomissione totale e incondizionata ad al-ilāh (Allah), la divinità per eccellenza. La predicazione diviene ben presto travolgente: alla morte di Maometto - l’8 giugno 632 - l’Islam è già una grande potenza politico-militare, oltre che religiosa, capace di fronteggiare lo Stato romano e di opporsi al cristianesimo. In pochi decenni, l’Islam riuscirà a sottrarre ai Romani vastissimi territori e ai cristiani la stessa madre delle Chiese, Gerusalemme.
Inizialmente i cristiani considerano gli islamici - i “musulmani” - soltanto come eretici: come cristiani che hanno qualche opinione errata riguardo alcuni punti della fede, ma pur sempre cristiani. Non pensano, per esempio, che essi davvero neghino la Triade divina, ma solo che non sappiano esprimerla compiutamente. In molte regioni, da principio i cristiani accolgono con entusiasmo gli islamici, salutandoli come liberatori dal centralismo e dal fiscalismo statale. Da parte sua, il mondo islamico fa sue non poche tradizioni e mode dei Romani (cioè, dei greci ortodossi) e dimostra rispetto nei confronti dei cristiani, in particolare per la vita monastica.
A seguito però delle Crociate franco-germaniche, che provocano stragi immani sia di Islamici che di cristiani ortodossi, seguaci di Maometto e fedeli a Cristo non sono più capaci di vivere insieme e di parlarsi. Mentre gli ortodossi continuano a considerare gli Islamici come eretici ma pur sempre “cristiani”, gli Islamici cominciano a identificare i cristiani tutti con i Crociati e a considerare tutti i cristiani, indistintamente, come nemici. Il fanatismo e poi lo sciagurato nazionalismo importato anche tra gli Islamici dall’Occidente, hanno reso pressoché impossibile qualsiasi forma di dialogo tra Cristiani e Islamici: questi sembra non vogliano ascoltare le ragioni dei cristiani (che identificano senza distinguo con alcune Potenze politico-militari occidentali), mentre, da parte loro, i Cristiani sembra siano incapaci di “testimoniare la speranza”, esponendo serenamente e sinceramente la loro fede.
Se il dialogo tra Islamici e Cristiani oggi è o sembra impossibile, tale non è stato un tempo: qui si riportano alcuni esempi, tratti principalmente dalla storia della Italia romana (cioè greco-ortodossa).
Il caso di santa Oliva
Con la diffusione del culto di santa Febronia, popolare in tutta l’Italia Meridionale, fu conosciuta anche santa Livia [1 maggio], che le fu socia nel martirio: all’una e all’altra furono dedicate non poche chiese, particolarmente in Sicilia [da Messina proviene l’unica passio conosciuta di santa Livia].
Può darsi che un reliquiario di santa Livia sia stato razziato da Saraceni a Palermo o in qualche altra località dell’Isola e portato a Tunisi. Quando in Sicilia si venne a sapere che a Tunisi c’era una moschea chiamata az-zaitūm (dell’olivo), si sognò - si sperò - che vi fossero conservate le reliquie di santa Livia, santaliva, sant’Oliva. Non sapendo più nulla - in ambiente normanno - di una santa Livia, si favoleggiò che una giovane asceta siciliana fosse sepolta nella Moschea di Oliva (sic), e nel 1402 i siciliani chiesero addirittura d’averne qualche reliquia al califfo Abû Fâris Azir.
Elia di Enna
Giovanni, della nobile famiglia Rachitis, nacque a Enna. Vissuto sin da adolescente nell’Africa del Nord, si fece ben presto stimare dall’Amîr al-mu’minîn - il Principe dei Credenti - che gli diede ampia libertà di movimento. A Gerusalemme rivestì l’abito monastico, prendendo il nome di Elia, e si stabilì nel Monastero di Santa Caterina al Sinai. Dopo essere stato ad Alessandria, intraprese un lungo viaggio verso la Persia; fu quindi in Siria e in Algeria - Tunisia, prima di rientrare in Italia meridionale. Tutta la vita di Elia fu un continuo viaggio (Peloponneso, Epiro, Corfù, Roma Antica, Patrasso, Tessaglia, Tessalonica, … oltre a innumerevoli località dell’Italia Meridionale). Sempre circondato dal rispetto delle autorità islamiche, Elia partì per la Patria celeste nel 903, un 17 agosto, giorno in cui viene celebrato come santo.
Con molte Autorità islamiche Elia poteva vantare un’amicizia personale: storici moderni sospettano persino che egli sia stato un “agente segreto”, una specie di ambasciatore al servizio dello Stato romano per trattative con gli Arabi. Nella Vita di Elia si legge d’un incontro con alcuni Saraceni, avvenuto poco prima dell’880, durante il quale il santo spiegò:
La fede di noi cristiani è pura, immacolata, attestata dai profeti e dagli apostoli, confermata dai segni e straordinari prodigi operati dai santi. Noi osserviamo stile di vita puro e incorrotto, allontanamento dalle questioni di questo mondo, verginità e devozione; abbiamo in onore le nozze pure ed esenti da passioni smodate; rispettiamo la ricchezza terrena purché non siano dimenticati i poveri; consigliamo semplicità nel vestire, per quanto basti alle necessità fisiche; esortiamo e incoraggiamo a non trascurare questi precetti. Noi crediamo nel Padre Figlio e Santo Spirito, ma non glorifichiamo tre divinità o tre nature: non conosciamo infatti altro dio che il solo e unico Dio che è Padre, Figlio e Spirito, né pensiamo che le tre Persone siano diverse dall’unico Dio. Proclamiamo un solo Principio di una sola divinità, un solo Regno, una sola Potenza, una sola Forza, un solo Atto, un solo Consiglio, una sola Volontà, una sola Sovranità, una sola Signoria divina dell’unica essenza tripersonale.
Voi invece, limitando la divinità a un solo essere creato, credete come gli ariani, per i quali la Parola del Padre è creata; affermando che Cristo è un semplice uomo oppure che non si è sottoposto realmente alla passione, seguite alcune eresie cristiane; facendovi circoncidere, seguite le usanze dei giudei.
Il vescovo Ippolito ?
Un altrimenti sconosciuto vescovo della Sicilia trinacride (l’Isola) o della Sicilia continentale (l’attuale provincia di Reggio Calabria), a nome Ippolito, nel IX secolo, con straordinaria lungimiranza dice:
Il leone, l’imperatore dei Romani amante di Cristo, unendo le sue forze a quelle del leoncino, il Califfo degli Arabi, deve scacciare l’asino selvatico, il barbaro ed empio re degli atei Franchi.
Gregorio Palamas
Gregorio, detto Palamas, nacque nel 1297: suo padre era il più stimato senatore dello Stato romano, tanto da essere scelto dall’imperatore Andronico II come educatore del futuro imperatore Andronico III. Compì gli studi all’Università di Nuova Roma con risultati strabilianti: appena diciassettenne, fu pubblicamente lodato come nuovo Aristotele. Destinato a una brillante carriera, nel 1317 abbandonò il mondo e si fece monaco al Santo Monte, dove fu inizialmente discepolo di san Niceforo l’Esicasta, un calabrese che si era rifugiato all’Athos per scampare al rogo cui era stato condannato dalla “Santa Inquisizione”. Gregorio fu presto richiamato dalla tranquillità del Santo Monte per combattere le empie dottrine di Barlaam, un dotto calabrese, anche lui costretto a rifugiarsi a Costantinopoli a causa dell’Inquisizione, che però era scivolato nell’eresia, anzi proprio nell’ateismo. Nel 1347 Gregorio fu consacrato arcivescovo di Tessalonica (dopo Nuova Roma, la città più importante del tempo); nel 1354, mentre era in viaggio, fu rapito dai Turchi e solo dopo un anno liberato, grazie a un fortissimo riscatto pagato da Stefano Dušan, re di Serbia, ammirato dalla sapienza di Gregorio ma ancor più dalla sua santità. Il 14 novembre 1359 Gregorio si addormentò in pace a Tessalonica e fu sepolto nel tempio della Sapienza Divina, dove fu subito venerato. Moltiplicandosi i miracoli sulla tomba, ma soprattutto crescendo la fama della sua dottrina, nel 1368 fu stabilito che la memoria di san Gregorio Palamas dovesse essere celebrata in tutta la Chiesa non solo il 14 novembre ma anche ogni seconda domenica della Grande Quaresima.
Ostaggio dei Turchi, Gregorio scrisse una lettera ai suoi fedeli di Tessalonica, nella quale narra d’una conversazione avuta con il nipote dell’emiro Orkhan, Solimano, il quale parlava correntemente il greco.
Anche voi cristiani praticate l’elemosina?
La vera elemosina è il risultato dell’amore per Dio; chi più ama Dio, più pratica la carità.
Perché voi non amate il Profeta?
Perché chi non ha fede nelle parole del maestro, non può amare il maestro come maestro.
Voi amate Gesù, eppure dite che è stato messo a morte in croce.
Egli è volontariamente salito sul legno della croce, accettando in quanto uomo la passione, pur restando impassibile in quanto Dio.
Perché venerate il legno della croce?
Anche tu onori il simbolo della tua religione, mentre detesti grandemente chi lo disprezza: la croce è trofeo e simbolo di Cristo.
Voi cristiani affermate che Dio ha avuto una donna, la quale ha generato un figlio.
Voi islamici riconoscete che il Cristo è Parola di Dio, e che è nato dalla vergine Maria. Dite quindi che Maria non ha avuto bisogno d’un uomo per partorire corporalmente la Parola di Dio. Tanto più, Dio non ha bisogno d’una donna per generare l’incorporea ed eterna Parola di Dio.
Osservando le usanze funebri dei musulmani, Gregorio chiese spiegazioni a un dasmad [incaricato dei riti]. Questa conversazione si svolse con l’aiuto d’un interprete. Gregorio chiede:
Perché avete trasportato la bara con grida acute e poi, disponendovi a cerchio attorno alla bara, per tre volte avete levato le mani al cielo pregando?
Abbiamo pregato per il morto, chiedendo perdono a Dio delle sue colpe.
Certo: il giudice ha il potere di concedere il perdono. Anche noi crediamo che Cristo verrà come giudice di tutto il genere umano, innalzando a lui preghiere e suppliche. Quindi anche voi, come noi, invocate Gesù come Dio e giudice, sapendo che egli è indivisibile dal Padre, in quanto Parola a lui connaturata! Infatti non c’è mai stato né mai ci sarà un momento in cui Dio è privo della Parola.
Ma il Cristo è servo di Dio!
Però anche voi dite che egli giudicherà i vivi e i morti, i quali staranno attorno a lui, assiso nel suo tremendo e giusto tribunale. Abramo, che riconoscete come vostro progenitore, dice a Dio: Il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?. Sicché colui che giudicherà tutta la terra è lo stesso Dio, re dell’universo, e non esiste come diverso dal Padre quanto alla deità, come i raggi del sole non diversi dal sole quanto alla luce.
Noi veneriamo tutti i profeti e i libri che provengono da Dio, uno dei quali è il Vangelo. Come mai voi non accettate il nostro Profeta e non avete fede nel suo Libro venuto dal cielo?
E’ vostra e nostra abitudine, consolidata dal tempo e dalle leggi, non accettare e non considerare vero niente, senza testimonianza. Le testimonianze sono di due tipi: i fatti stessi, e le persone degne di fede. Mosè corresse l’Egitto con segni e prodigi; con un bastone aprì e chiuse il mare; fece piovere cibo dal cielo, e così via. Voi stessi dite che Mosè è degno di fede, come Dio ha testimoniato chiamandolo “servo fedele”. Dio però non lo chiamò Figlio, né Parola: Mosè salì sul monte divino, ma poi morì e andò a riunirsi ai suoi predecessori. Invece su Cristo - oltre alle incomparabili opere da lui compiute - hanno testimoniato Mosè e gli altri profeti.
Anche voi dite che soltanto lui è Parola di Dio; che soltanto lui è stato generato da una vergine; che soltanto lui è stato fatto salire in cielo, dove rimane immortale; che lui solo verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti. Su di lui dico tutto ciò che anche voi riconoscete: per questo, noi crediamo in lui e nel suo ev-anghelos, buon messaggio.
Nel Vangelo era scritto di Maometto, ma voi avete eliminato quel passo.
Nessun passo del Vangelo è mai stato eliminato o trasformato. Per chi facesse qualcosa del genere, son previste pesanti e tremende maledizioni: chiunque osasse eliminare o modificare qualcosa, sarebbe tagliato fuori. Per di più, il Vangelo fu subito tradotto in molte e diverse lingue: anzi, fin dall’inizio non fu scritto in una sola lingua. Come sarebbe potuto sfuggire - o essere falsificato - un passo? Come avrebbero potuto mettersi d’accordo tanti popoli diversi, lontani, stranieri? Il Vangelo è diffuso anche in molti gruppi eretici, che a volte sono d’accordo con voi, ma non possono indicare niente, a proposito, nel Vangelo di Cristo. Gli stessi Ebrei non hanno mai detto niente di simile. Nel Vangelo ci sono persino affermazioni all’apparenza contrastanti tra loro! Nel Vangelo non c’è nulla che non sia stato annunciato dai profeti: se in esso vi fosse stato scritto qualcosa riguardante Maometto, lo si troverebbe scritto anche nei profeti.
Se per Cristo fosse vero ciò che è vero per Mosè e tutti gli altri profeti (che morirono e furono sepolti in attesa del giudice celeste), per aversi la fine del mondo dovrebbe venire un altro Cristo. Voi stessi però ammettete che Cristo è salito al cielo e anche voi affermate, con noi, che non debba tornare nessun altro che Cristo: è lui che è venuto, che viene e che di nuovo verrà. Noi non attendiamo nessun altro che lui.
Maometto però è risultato vincitore, dall’estremo Oriente fino all’Occidente.
Voi ora risultate vincitori: ma con le armi, le devastazioni, la morte. Niente di ciò può provenire dal Dio buono: è piuttosto volontà che proviene da quel Satana che fin dal principio è omicida. Il grande Alessandro e tanti altri dopo di lui si sono impadroniti della terra con spedizioni militari: nessuno però affidò la propria anima a chi lo dominava con le armi. Ricorrendo alla violenza, non ci si procura alleati veri o amici sinceri. L’insegnamento di Cristo, diffuso con l’amore, ha raggiunto tutti i confini della terra, resiste tra coloro che lo combattono, vince con l’amore ogni violenza. Se fossimo d’accordo a parlarci, noi e voi avremmo una sola fede.
Prima o poi avverrà di trovarci concordi.
Sia presto! L’apostolo Paolo profetizza che, un giorno, ogni lingua o Nazione riconoscerà che Cristo è Signore.
Ai cristiani piuttosto dico: se non testimoniate la fede con le opere, non si tratta più di fede ma di infedeltà; di per sé, anche Satana crede che Cristo è Dio! Senza opere, il nostro non è un Credo; è una negazione. State attenti a non bestemmiare con le vostre opere! Chi mai potrà credervi quando predicate che Gesù è stato generato prima del tempo dal Padre e nel tempo da una vergine, se poi impazzite nei piaceri, di fatto disprezzando la verginità e la temperanza? Vi fate vedere a pancia piena e ubriachi: come fate a dire di essere uniti, nello Spirito, a quel Gesù che ha digiunato quaranta giorni nel deserto e che in tutta la sua vita terrena ha predicato la sobrietà? Come può farlo chi è ingiusto, avido, prepotente?
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