martedì 19 maggio 2009

Il Grecanico

K. Lampryllos, in Una tragica beffa, riedito da L’âge d’homme, Lausanne, 1987, con il titolo La mystification fatale, già nella prima metà del XIX secolo avanzava l’ipotesi che la presunta discendenza del grecanico (la “lingua greca” dell’Italia Meridionale) direttamente dal greco antico, omerico, fosse del tutto ideologica, “politica”. Gli studiosi dell’epoca avrebbero esaltato la sopravvivenza di termini arcaici nel Grecanico (che peraltro si riscontrano oggigiorno anche nel Neogreco dei marciapiedi d’Atene) per due motivi:

1 tenere lontani i Romani dell’Italia Meridionale dalla voglia d’indipendenza che a quell’epoca infiammava i Romani della Rumelia (la terra dei Romani), della Cappadocia, del Peloponneso, ecc.

2 nascondere il ruolo della Chiesa (ortodossa) nella sopravvivenza della lingua e della identità nazionale.

Per quanto riguarda il punto 2, c’è da dire che – in effetti – la lingua greca sopravvive in Italia Meridionale, nonostante il genocidio operato dai Normanni, finché e dove è rimasta viva la tradizione romano-ortodossa.

Per quanto riguarda il punto 1, si sa quanto le Potenze occidentali temessero che le insurrezioni contro i Turchi prima, e la dissoluzione dell’Impero ottomano poi, portassero alla nascita di un grande Stato Romano, naturale alleato del potente Impero russo, se non – addirittura - alla rinascita d’uno sterminato Impero Romano, che sarebbe andato dall’Alaska al Mediterraneo. Si provi a mettere insieme tutti i territori che nel XIX secolo erano sotto l’influenza della Russia e tutti i territori che erano più o meno sotto l’influenza della Costantinopoli ottomana (e densamente abitati da Romani: si pensi ad Alessandria): sarebbero restati “fuori” solo la penisola iberica, gli staterelli della penisola italiana, Francia, Germania e Inghilterra (Stati tutti - per giunta - religiosamente in conflitto tra loro), nonché il Regno di Napoli dove però “troppo” forti e popolari sarebbero state le simpatie per il rinato Impero romano (senza tener conto degli interessi commerciali: Palermo è senza dubbio più vicina ad Alessandria che a Lisbona; Reggio può vendere più seta a Damasco che a Dublino).

Si vedano in questa ottica le amorose cure che le Potenze occidentali prestarono al capezzale del Grande Malato, l’Impero ottomano morente; il terrore delle stesse al pensiero che un Cesare (lo Csar) potesse tornare a Costantinopoli e che un patriarca ortodosso tornasse a celebrare a Santa Sofia (a proposito, vedi G. Croce, La Badia Greca di Grottaferrata, Città del Vaticano 1990). Si spiega così persino la glaciale indifferenza delle Potenze occidentali per la Catastrofe dell’Asia Minore, nel 1922. E la data 6 settembre 1955 ricorda qualcosa?

Vero è che - per confondere le acque - le Potenze occidentali chiamarono ufficialmente Romanìa la Dacia, e Grecia la Rumelia. La confusione è così riuscita che a noi stessi è molto difficile usare il termine romani per indicare… i Romani: per esempio, il termine romanico - dal 1818 (grazie al francese M. De Gerville) - comunemente si usa per indicare lo stile dell’Europa occidentale (barbarica) dei secoli XI\XIII. E quegli studiosi che - per indicare i Romani - usano il termine Romei, non si rendono conto (forse) che esso comunemente vuol dire soltanto pellegrini diretti a Roma (Antica).

Nessun commento:

Posta un commento