martedì 18 agosto 2009

Sant’Efrem il Siro: Giona e i Nineviti

(Sintesi di una omelia)

Il profeta Giona, appena salvatosi dai denti del cetaceo, uscì dal mare e iniziò a predicare agli abitanti di Ninevì, ch’erano idolatri. Iniziò a predicare la conversione, come gli aveva ordinato Dio. Suggerì di pentirsi, altrimenti la grande città di Ninevì sarebbe stata distrutta. Il severo monito del profeta atterrì i Nineviti. Si sgomentò quella potente città, fu scossa da capo a fondo. Si spezzò il cuore del popolo e dei governanti, perché era persa la città e ogni speranza.

Ascoltano i regnanti la voce del profeta e tremano; così tanto si umiliano che, gettati via i loro diademi, niente altro vogliono che convertirsi.

Ascoltano i principi e gridano; si tolgono le vesti lussuose e si coprono di umili stracci.

Ascoltano gli anziani, e per l’afflizione si coprono il capo di cenere.

Ascoltano i ricchi, e svelti spalancano i loro forzieri ai poveri.

Ascoltano gli usurai, e all’istante strappano le cambiali.

Ascoltano i debitori, e corrono a pagare i loro debiti.

Ascoltano i ladri, e in fretta restituiscono il maltolto ai proprietari.

Ascoltano i giudici, e fanno finta che i delinquenti non abbiano commesso crimini, condonando ogni cosa. Ascoltano gli assassini, e confessano i loro delitti, né si rifiutano di presentarsi ai giudici. Ma anche i giudici ascoltano, e perdonano, perché in questo indescrivibile tumulto nessuno ha più il coraggio di condannare.

Ascoltano i peccatori, e confessano le loro malvagie azioni.

Ascoltano i servi, e maggiormente rispettano i loro padroni.

Ascoltano i ricchi e le persone importanti, e abbassano la cresta.

In breve, ognuno iniziò a pensare alla propria salvezza e a supplicare Dio. Nessuno volle più il male del prossimo; ora tutti volevano una sola cosa: guadagnarsi l’anima. Tutti seminavano amore per mietere perdono!

Il profeta Giona fu inviato a Ninevì come medico, e il medico ripulì le ferite e applicò il farmaco adatto a chiudere le piaghe; come bisturi usò la sua voce ammonitrice. Non chiamò a qualche modifica: chiuse proprio la porta della speranza, perché – spaventati – smettessero dalle brutture che provocano le malattie spirituali. La Grazia di Dio non aveva mandato Giona per distruggere la città, ma per trasformare la città.

Ninevì ascoltò il suo monito profetico e ritornò sulla retta via della vita, in digiuno e preghiera, dimostrando quanto coraggio dia rifugiarsi in Dio, perché egli cambia la sua decisione.

Hanno fine i sontuosi banchetti dei potenti… Che dico? Persino i lattanti smettono di allattare: gli altri, come potrebbero ricercare pranzi prelibati? Gli animali non vanno più all’abbeveratoio: e gli uomini, come potrebbero bere vino? Il re si veste di sacco: e gli altri, come potrebbero vestire eleganti? Le donne di strada rinsaviscono: e chi penserebbe più a fidanzamenti e nozze per i propri figli? Gli sbandati, per paura, si danno una regolata: e quali labbra potrebbero più muoversi al riso? Tutti piangono e gemono: chi potrebbe ancora cercare divertimenti? I mascalzoni denunciano le loro stesse malefatte: dove trovare più delinquenti? La città sta per essere distrutta: chi pensa più a custodire la propria casa?

A terra si vedono disseminati gioielli, e tutti li scansano. Le casse sono spalancate, e nessuno vi si avvicina. I libertini chiudono gli occhi per non guardare con desiderio le bellezze muliebri, e le donne si coprono per non far inciampare gli uomini.

Ognuno cerca d’aiutare il prossimo, avvantaggiando se stesso, per potersi tutti salvare. Ognuno incita l’altro alla preghiera e alla confessione. Ognuno sta attento a che nessuno dei suoi familiari cada in peccato. Tutta la città, insomma, è diventata un solo corpo. Nessuno piange per salvare se stesso, ma supplica per la salvezza di tutti. Tutti, come un sol uomo, sono in pericolo di sparire, di essere distrutti. I giusti pregano per i peccatori, e i peccatori gridano a Dio perché ascolti i giusti.

Raccogli il tuo spirito, fratello mio, e osserva come tutti vivevano in grande lutto. Il cuore straziato dei fanciulli gettava tutta la città nello sconforto. Il continuo urlo dei bambini spezzava il cuore dei padri. Gli anziani si strappavano i capelli: al vederli, i giovani levavano alti lamenti. Si vedevano morire tutti insieme, nello stesso istante; pensavano che avrebbero dovuto seppellirsi a vicenda.

Da mattina a sera contavano i minuti che li separavano da ciò che Giona aveva minacciato: “E’ passato un giorno! Ancora poco! Ecco la fine!”

Il bambino chiede al babbo: “Dimmi, a che ora l’Ebreo ha detto che tutti scenderemo vivi nell’ade? Quando sparirà la nostra bella città? Quando saremo annientati?” Il babbo, trattenendo a stento le lacrime, per non far morire il figliolo dalla disperazione prima del tempo, lo consola dicendo: “Non aver paura, amore mio. Fatti coraggio! Il Signore ci vuole molto bene. Non abbandonerà la sua creatura. Il pittore assicura e protegge con attenzione l’immagine inanimata, e l’ama come un figlio: il Signore custodirà la sua animata e razionale immagine. No, non distruggerà la nostra città! Il profeta, con la sua minaccia vuole solo chiamarci a conversione. Ricordi, piccolo mio, quante volte ti ho bastonato? Vedi come è stato utile? La punizione ti ha reso più saggio e consapevole. Come un padre, ora il Dio filantropo ci minaccia col suo bastone, per mettere paura ai suoi figlioli e farli rinsavire, Punisce, ma non fa morire. Illumina e guida alla conversione. Consolati, figlio, e smetti di piangere: la nostra città non sparirà…”

Così i Nineviti, consolando con queste parole i loro figli, senza volerlo erano profeti. Erano davvero profeti: la penitenza li rese profeti a loro insaputa; perciò non smisero di piangere e gemere. Consumarono in digiuno e incessanti preghiere i pochi giorni predetti per la catastrofe.

Esce il re dal Palazzo, e tutta la città trema atterrita, vedendolo vestito di sacco.

Il re vede la città piombata nel lutto, e i suoi occhi si annebbiano. Piange la città sul re, vedendo il suo abbattimento; piange il re sulla città vedendone l’afflizione. Il pianto e il gemito spezzano anche le pietre.

A confronto di quella dei Nineviti, la nostra penitenza è solo un sogno, un’ombra che in fretta va via e svanisce. Chi di noi prega in quel modo? Chi di noi supplica con la stessa intensità? Chi si umilia così incredibilmente di fronte a Dio? Chi cambia così radicalmente le proprie azioni occulte o palesi? Al solo ascolto d’un avviso, chi si pente dei suoi peccati sì da struggersi e spezzare il cuore? Chi ha cambiato testa solo per aver ascoltato una parola? Chi mai, sentendo una minaccia, s’è fissato in mente il ricordo della morte? Chi si è presentato pentito innanzi al filantropo Dio?

Tutti insieme fanno lutto, perché tutti hanno sentito che i loro giorni sono del tutto alla fine. Tutta la città piange perché sta sprofondando viva nell’ade.

Il re aduna l’esercito e con le lacrime agli occhi dice: “Quante battaglie abbiamo vinto! Quante volte avete trionfato con me, battendovi da prodi contro i nemici! Ora però non dobbiamo affrontare una solita guerra. Abbiamo sottomesso popoli e nazioni, e ora corriamo il rischio di essere sottomessi da un Ebreo insignificante! Il nostro potente grido di battaglia ha fatto tremare condottieri e regni, ma ora la voce di questo piccolo uomo ci incute così tanto timore? Abbiamo raso al suolo molte città, e ora nella nostra città comanda uno straniero! Ninevì, madre di giganti, dentro le tue stesse mura sei piombata nel caos per la presenza di un solo Ebreo! Sul mondo intero ruggiva la leonessa, Ninevì! E ora contro di lei ruggisce un Giona qualunque. Non stiamo inerti, compagni, in questa difficile ora; non abbattiamoci come ragazzine. Quando si affronta virilmente il pericolo, si guadagna sempre: chi resta in vita trionfa, e chi muore sarà esaltato come forte e maschio atleta. Forza, dunque! Resistiamo con coraggio, lottiamo con forza. Se vinceremo, se moriremo, dietro di noi lasceremo un nome glorioso. Abbiamo udito che il giudizio di Dio colpisce i malvagi e li guida a dovere, mentre la sua filantropia elargisce salvezza. Avremo perciò timore del suo giudizio, affinché aumenti il suo amore; se placheremo la giustizia di Dio, otterremo l’abbondanza della sua misericordia. Non ignoriamo Giona. Non prendiamo alla leggera il suo annuncio. Davanti a tutti lo ho interrogato a fondo, per saggiare le sue parole; l’ho strapazzato ma non c’è cascato; l’ho minacciato ma non si è intimidito; gli offerto soldi, e mi ha disprezzato; gli ho puntato contro la spada, e se ne è fatta un baffo: minacce e promesse non l’hanno piegato dalle sue convinzioni. La sua parola è stata per noi come uno specchio. Abbiamo visto che in lui dimora il Dio che ci rinfaccia le nostre azioni malvagie. E’ venuto tra noi come un medico coscienzioso, che non nasconde la verità al malato. Non si fa scrupolo di spiegare che c’è bisogno di un intervento chirurgico. Come pensare che è falso il profeta che minaccia sciagure? Fosse stato bugiardo, avrebbe parlato in modo diplomatico, con apparente gentilezza. Se ci avesse parlato di vittorie e di pace, avremmo potuto sospettare che si tratti d’uno scroccone, che ci profetizza qualcosa di buono perché si aspetta regali e vantaggi. Ma costui dalle nostre mani non ha accettato neppure un tozzo di pane: digiuna e prega. Forse che voglia ardentemente la distruzione della nostra città perché non sia smentita la sua profezia? Opponiamoci a lui digiunando e pregando anche noi: in vero, non lui ma noi abbiamo peccato! Amici miei, la nostra città non sarà distrutta dal profeta, ma la distruggeremo noi, con le nostre opere cattive. Il nostro nemico non è Giona; c’è un altro nemico, invisibile, furbissimo: è lui che dobbiamo combattere con coraggio. Abbiamo sentito parlare delle lotte del giusto Giobbe: è nota la sua prova, per cui come una tromba risuonò in tutto il mondo la sua vittoria sul diavolo. Se il diavolo lotta così duramente contro i giusti, come ancor peggio non lotterà contro di noi peccatori? Abbiamo vinto regni in guerra: con la nostra conversione, ora dobbiamo vincere Satana! Avanti! Misuriamoci con lui! Togliete la corazza e indossate un sacco; scartate le frecce e rifornitevi di preghiera; mollate la spada e impugnate la fede; spezzate lo scudo e proteggetevi con il digiuno! La nostra vittoria su Satana sarà la nostra più grande vittoria. In tutte le guerre sono stato sempre in prima fila: anche ora sarò alla testa di tutti voi!”

A queste parole, i soldati abbandonano le armi e si vestono di sacco, come il re; ora si veste umilmente chi prima indossava uniformi sgargianti.

Il re mandò araldi per chiamare tutta la città a penitenza, dicendo: “Ognuno abbandoni le sue cattiverie, affinché questa battaglia non sia vanificata e oscurata. Il ladro restituisca quel che ha rubato. Il dissoluto rinsavisca. Il collerico sia calmo. Nessuno nutra odio. Nessuno imprechi. Nessuno perseguiti o insulti il prossimo: se noi perdoneremo gli errori degli altri, Dio perdonerà le nostre colpe. Avanti, dunque! Alle armi del digiuno e della preghiera! Lottiamo tutti insieme, con forza e coraggio, per la nostra salvezza!”

Con queste parole il re incitò il popolo all’amore, alla fede, alla speranza: sono armi potenti e procurano sollievo e gioia. Così, il figlio del gigante Nevroth abbandonò la selvaggina e, anziché andare a caccia di bestie selvatiche, uscì ad abbattere le sue passioni. Al posto delle belve, catturò i feroci peccati; lasciando perdere gli animali della selva, lottò contro il peccato che aveva dentro di sé. Scese dalla sua sontuosa carrozza; si aggirò a piedi per tutta la città; chiamò tutti a penitenza; attraversò Ninevì da capo a fondo e s’adoperò per ripulirla dall’immondizia del peccato

Giona vide l’incredibile cambiamento: stupì che i Nineviti si fossero pentiti più rapidamente degli Israeliti. Vide che i figli di Chanaan erano giustificati per fede, mentre i figli di Abramo tradivano Dio. Vide che Ninevì si pentiva amaramente, mentre Sion si prostituiva freneticamente. Vide i peccatori di Ninevì rinsavire, e le figlie di Giacobbe darsi alla perdizione. Vide che a Ninevì i ladri proclamavano la verità, mentre in Sion falsi profeti, con l’inganno, trascinavano il popolo verso l’idolatria. A Ninevì abbattevano pubblicamente le statue, e a Gerusalemme di nascosto le adoravano. Ninevì diventava un tempio di Dio e a Gerusalemme il Tempio si era trasformata in un covo di briganti.

Giona vide che i Nineviti avevano messo cervello ed erano più timorati di Dio. Con le sue minacce egli aveva tolto la speranza, ma il digiuno li aveva rinforzati e aveva promesso la vita. Il profeta vide la penitenza, e temette che la sua predicazione dovesse risultare falsa. Egli contava i giorni e le notti prima della catastrofe, ma i Nineviti esaminavano piuttosto i loro peccati, trovandosi tremanti davanti alle fauci, alle porte dell’ade. Aspettavano la giusta collera di Dio, ma non smettevano di sperare nella sua sconfinata misericordia. Erano convinti che Dio è di grande misericordia, e spande il suo amore e la sua misericordia su chi si converte. Sapevano che il profeta è duro, ma che Dio è un amico; abbandonavano perciò la durezza e si rifugiavano nel Misericordioso. Egli agita il suo bastone per intimorire, non per spaccare la testa; per correggere, non per ammazzare. Continuavano quindi a digiunare e a pregare senza sosta.

Nei loro occhi non si asciugano mai le lacrime di pentimento. La lingua mai si stanca d’impetrare la misericordia divina. Passano dalla penitenza al digiuno, dal digiuno alla purificazione e alla saggezza. La grazia di Dio vide tutto, si mosse a compassione dei Nineviti e inviò su di loro la vivificante pioggia del suo affetto. Il Signore, che è filantropo, buono, ricco di misericordia, non vuole la morte del peccatore ma il suo ritorno, la sua conversione, la sua salvezza.

E venne il giorno della totale distruzione. La città è colma di pianto. La polvere delle strade è impastata da un fiume di lacrime. Il babbo desta il figlioletto, per piangere insieme la loro amara morte. I vecchi e le vecchie vanno a piangere tra le tombe, cercando un morto che seppellisse i morti. Le grida di lutto arrivano al cielo. Ognuno nell’angoscia chiede all’altro: “A che ora Dio ha deciso di farci scendere tutti insieme all’ade? Come arriverà su di noi la morte?”

Comincia a farsi sera. I Nineviti stanno immobili al loro posto di morte, tenendosi per mano, piangendo uno sull’altro. Si chiedono in quale istante sentiranno risuonare la voce dello sterminio. Sono certi che quella sera la città sarà distrutta.

Strano! Arriva la sera e ancora nulla hanno sentito. Pensano allora che saranno consegnati al caos nella notte. Ma giunge la notte, e niente! Aspettano: certamente all’alba saranno perduti. Arriva l’alba, ma non arriva la sciagura. Proprio quando credevano che non sarebbero rimasti più in vita, la speranza si trasforma in certezza, e la certezza in gioia. La cupa atmosfera si fa luminosa e festante. Tutti insieme, con parenti e amici, non sanno come esprimere la loro gioia, come dare gloria a Dio che li ha risparmiati, che ha accettato il loro pentimento.

Giona stava a seguire gli avvenimenti da lontano, temendo di essere accusato di falso: ma la sua profezia non si era avverata: perché il buon Dio, vedendo le lacrime di pentimento dei Nineviti, ebbe pietà e fece rivivere la città morta; erano infatti come morti, aspettando quella fulminea e atroce morte. Ora li rendeva viventi la speranza e la gioia: avevano visto che l’ira di Dio s’era mutata in misericordia. Caddero in ginocchio pregando, le mani levate al cielo per rendere grazie a Dio che in modo inatteso li aveva salvati dalla morte e nella sua misericordia aveva loro donato la vita.

Giona invece, incredibilmente, era afflitto: se i Nineviti erano salvi, lui era un bugiardo! Vedendolo così, tutti gli danno pacche amichevoli sulle spalle, dicendo: “Non tormentarti, Giona! Sta’ lieto: grazie a te abbiamo scoperto una vita nuova; grazie a te abbiamo conosciuto Dio, nostro creatore e padre. Non temere: non ti sei dimostrato bugiardo, perché davvero è stata distrutta la nostra malvagità ed è stata edificata la nostra fede. Con le tue ammonizioni abbiamo trovato il pentimento e nel tesoro della misericordia di Dio tutto quel che serve alla nostra salvezza. Giona, che guadagno avresti avuto dalla distruzione della nostra città, se fossimo morti tutti? Che vantaggio avresti avuto, figlio d’Amathì, se l’ade ci avesse inghiottito tutti? Sei afflitto proprio tu che ci hai guarito dal male? Noi ti ringraziamo come benefattore! Perché sei abbattuto? Hai faticato perché la città non andasse a perdizione, ma giungesse alla conoscenza di Dio! Perché sei dispiaciuto? La penitenza ci ha salvato! Ora tu devi essere incoronato come vincitore; devi essere traboccante di gioia: hai fatto gioire gli angeli in cielo e anche tu in terra devi gioire, perché Dio stesso gioisce in noi!”.

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