mercoledì 5 agosto 2009

Bizantini \ Romani

(spunti tratti da P. Ranson - M. Terestchenko - L. Motte, Storia dello scisma Oriente – Occidente, in La Lumiere du Thabor)

“Bisanzio” non esiste: è una impostura, indegna di storici seri, chiamare “bizantini” coloro che fino alla caduta di Costantinopoli, Nuova Roma, e anche oltre, si sono sempre chiamati “romani”. Non c’è stato scisma [tra Oriente e Occidente] nel senso di separazione di due mondi ma la usurpazione della sede ortodossa di Roma [Antica] da parte di una fazione francofila.

Il termine “greco” non è usato prima dell’8°\9° secolo, nel clima politico e ideologico dell’epoca carolingia: Carlomagno vuole restaurare l’impero romano e a questo scopo gli è necessario negare ogni legittimità all’Imperatore ortodosso, allo scopo di spezzare il legame profondo esistente fra le popolazioni romane di Gallia e Italia e Costantinopoli. Chiamare “greci” i popoli dell’Impero equivale a metterli fuori dall’Occidente e, praticamente, identificarli con i Greci antichi e cioè con i pagani.

Tra gli ortodossi romani dell’Impero quel termine era considerato una vera e propria ingiuria; nel secolo 15° anche un partigiano dell’Unione (l’imperatore Giovanni Paleologo), al Concilio di Firenze, rifiutò come ingiurioso l’epiteto di “greco”.

Lo stesso è da dirsi per il termine “bizantino”. Nessuno si sognerebbe di chiamare i Parigini col nome di Luteziani, così come noi facciamo per gli abitanti di Nuova Roma. Il termine d’altronde è piuttosto tardivo: viene impiegato dagli Illuministi francesi, con valore dispregiativo.

La Storia, nel suo sforzo necessario di rigore e di obbiettività, non ha il diritto di usare una terminologia uscita dalle polemiche più violente dell’epoca carolingia o del 18° secolo. Non sarebbe più giusto chiamare i Bizantini col loro nome, Romani? (Per gli stessi Turchi, il vescovo di Costantinopoli non è il “Patriarca greco” ma il “Patriarca romano”).

Sono state le Potenze occidentali a imporre [ai territori liberati nel 1821] il termine “Grecia”, per separare gli ortodossi continentali dagli ortodossi dell’Anatolia e impedire così ogni rivendicazione territoriale: i Turchi dovevano essere tutelati per ragioni di politica internazionale. Le conseguenze di questa politica furono i massacri in Asia Minore (1923): le truppe francesi ed inglesi assistettero indifferenti allo sterminio delle popolazioni cristiane. La scelta del termine “Grecia” fu combattuta dagli ortodossi.

Contraddizione della scienza storica europea: da un lato afferma che l’Impero romano è diventato “bizantino” perché è diventato “greco”; dall’altro spiega il passaggio dalla civilizzazione greca dell’Impero romano alla civilizzazione bizantina con la perdita del carattere propriamente elleno di questa civilizzazione. Si afferma, paradossalmente, che l’Impero Romano diventa bizantino perché si grecizza e la civilizzazione greca diventa bizantina perché cessa di essere greca!

Sarebbe un vero progresso rifiutare i termini dispregiativi di “Greci” e di “Bizantini”, che non hanno nemmeno il merito di chiarire i fatti storici. Se si ritornasse alla denominazione di Romano e di Romanità ortodossa

- lo storico avrebbe un filo conduttore coerente per considerare la storia del mondo mediterraneo nella sua totalità.

- la storia non dovrebbe cercare una “latinità” che non sempre esiste. Le differenti costruzioni della latinità in Occidente (Carlomagno e successori) sarebbero meglio comprese se fossero studiate come utopie o come ideologie nate per facilitare il dominio [dei Franchi] sulla antica Romanità Ortodossa.

- la lotta dei Romani d’Occidente contro i Barbari potrebbe infine essere studiata in una prospettiva di lunga durata invece di svanire curiosamente dopo i Merovingi. In particolare la volontà dei Romani del Sud Italia, dei Provenzali, degli Aquitani, degli Spagnoli romanizzati, tutti ortodossi, di preservare la loro cultura e la loro fede potrebbe essere studiata in quest’ottica.

L’aspetto storico e l’aspetto teologico sono legati, soprattutto a partire dall’8° secolo, quando il metodo teologico d’Agostino diventa l’ideologia dei Franchi e dei Germani. Lo scisma [del 1054] non è soltanto una rottura, uno strappo nel tessuto cristiano dovuto ad una separazione teologica tra Roma e l’Oriente, ma piuttosto la usurpazione della sede ortodossa dell’antica Roma operata dai Franchi e tendente al rapimento dell’ultimo Papa ortodosso e alla sua sostituzione con un papa germanico.

L’origine lontana [dello scisma], il dato fondamentale che celava in germe le divisioni ulteriori, sono le invasioni barbariche, non tanto per il carattere eretico (ariano) della religione di questi popoli, quanto per la loro incapacità di costituirsi in Stato o almeno di modellare una religione capace di rimpiazzare quella che volevano distruggere. Dopo i primi massacri e grazie alla resistenza eroica di tutto il popolo martire, il progetto di sostituire la Romanità con una Goticità dovette essere abbandonato. Numerosi capi barbari presero gli abiti e i titoli romani per guadagnare un po’ di legittimità presso le popolazioni.

In questo tormentato periodo, oltre al ruolo dei grandi vescovi del 5° e 6° secolo, il patriarca di Roma Antica assume la funzione di Etnarca del popolo Romano d’Occidente. E’ lui che resta in contatto con l’Imperatore di Costantinopoli. Le divisioni interne dei barbari e quel periodo oscuro che fu l’epoca merovingica, assicurarono alla Chiesa una relativa tranquillità: i barbari non potevano accedere facilmente allo stato ecclesiastico e la sinodalità della Chiesa, conforme ai Canoni Apostolici, era rispettata grazie alla grande maggioranza di Romani liberi. Sarà necessario il feudalesimo – un immenso sistema di deportazione e di messa in schiavitù dei Romani - perché i Franchi diventino maggioritari nell’elezione dei vescovi.

Già le scuole monastiche che formavano i vescovi romani, erano state annientate ad opera di Carlo Martello e di Pipino il Breve.

Il Filioque non è una formulazione antica, come generalmente si afferma, che risalirebbe al III Concilio di Toledo. Data invece dalla fine del secolo 7° o dall’inizio dell’8° ed era contestato molto in Occidente all’inizio del 9° secolo dai vescovi gallo-romani: al contrario i Franchi ne facevano il simbolo di una rinascita intellettuale. Il Concilio di Aix la Chapelle è una notevole testimonianza di questa lotta tra elemento romano ed elemento franco. Per prima cosa questo Concilio mette in evidenza il carattere recente del Filioque. In effetti i rappresentanti del Concilio di Aix informarono il Papa che il Simbolo della fede cominciava ad essere cantato con il Filioque nel palazzo di Carlo Magno e che si trattava di un dogma nuovo. Il Concilio di Aix non potè concludere nulla e si divise in due partiti contrari. Carlo Magno, il campione del Filioque, non potè in realtà imporre la sua opinione e il Concilio si sciolse prima della sua fine. Ciascuno dei due partiti fece appello al Papa Leone III che non solo si oppose all’aggiunta del Filioque, ma in più ordinò che il Credo di Nicea – Costantinopoli fosse inciso su due piastre d’argento, in greco ed in latino, nella chiesa di San Pietro. Questa sconfitta di Carlo Magno dimostra che il potere dei Franchi cadeva di fronte all’autorità del Papa ortodosso dell’Antica Roma.

La versione germano-franca dell’incoronazione di Carlo Magno che si trova sui manuali di storia occidentali è una vera mistificazione, poiché essa è fondata unicamente sul racconto dell’ideologo franco Eginardo che afferma che sarebbe stato Leone III ad aver voluto di sua iniziativa incoronare un Carlo Magno piuttosto reticente. In realtà con questa cerimonia in cui la potenza del re franco fece violenza al Papa ortodosso Leone III, Carlo Magno voleva instaurare una nuova concezione della legittimità del potere. Il racconto di Eginardo che non osa addossare a Carlo Magno la responsabilità dell’avvenimento, prova al contrario che nel 9° secolo i barbari non erano riusciti a instaurare altra legittimità che quella del popolo romano.

Giovanni VIII (che la storiografia occidentale ha lasciato per molto tempo da parte, a causa della falsificazione delle fonti, ormai ammessa da tutti gli storici), fu un grande papa della Romanità, della statura di Leone Magno e di Gregorio Magno. Gerarca attento e prudente, fino alla morte dell’imperatore Ludwig II nell’875, seppe utilizzare il partito germanico, senza pur dare a esso un ruolo decisionale. Al momento però nel quale la minaccia germanica scomparve con la morte dell’imperatore, depose, scomunicò e anatematizzò i vescovi che avevano aggiunto il Filioque. Giovanni VIII scrisse una lettera a san Fozio nella quale condannava in termini velati, ma fermi, i germano–franchi e l’aggiunta del Filioque: “Noi li mettiamo dalla parte di Giuda, poiché essi hanno lacerato le membra del Cristo”. Il re Carlo il Grosso invase Roma e fece avvelenare Giovanni VIII che fu poi finito a colpi di scure.

Il pontificato di Giovanni VIII segna dunque un momento decisivo e mal conosciuto della storia dello "scisma", perché rappresenta l’ultima grande resistenza dei romani dell’antica Roma e dell’Occidente nei confronti della spinta germano-franca contro il trono ortodosso di Roma.

Il periodo che va dalla morte di Giovanni VIII all’inizio del secolo 9° è sistematicamente rappresentato in Occidente come un periodo di corruzione e di anarchia. I soli papi che trovano grazia agli occhi degli storici, sono quelli rivolti verso i regni sorti dai carolingi. In realtà questo periodo è presentato come un periodo particolarmente turbolento perché i romani dell’antica Roma conservavano un controllo relativo sulla loro Chiesa.

Il termine usurpazione è il più adeguato per descrivere la politica ecclesiastica dei Franchi e dei Germani. Le Crociate sono dei tentativi di rimpiazzare i vescovi ortodossi delle sedi orientali con dei vescovi latini, cioè Franchi.

[Si provi a leggere una qualsiasi pagina della Calabria bizantina come Storia dei romani (ortodossi) del Sud Italia: per esempio, il romano-ortodosso Elia di Enna è in ottimi rapporti col papa romano-ortodosso Stefano, ed è suo ospite di riguardo in Roma (885\91, con Stefano V, o con Stefano VI, ucciso nell’897 dopo pochi mesi di pontificato), mentre il suo omonimo e coevo Elia di Reggio, a Roma è visto come “forestiero” e rischia di essere ucciso: forse negli anni 858\872, dei pontificati di Nicola I e Adriano II ?]

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